Per molti anni, da bambina/ragazzina, appena finiva la scuola salivo in barca con mio fratello e rimanevamo a bordo fino al momento di tornare sui banchi. Nei weekend, poi, ci raggiungeva il babbut. Mentre durante la settimana con noi c’era una persona che ci ha insegnato a diventare marinai degni di questo nome.
Infatti, se oggi so navigare, ormeggiare, fare i nodi più complicati, tracciare una rotta e capire dove è meglio buttare l’ancora, lo devo proprio ad Adriano e ai lunghi mesi estivi trascorsi con lui. Il quale, maestro eccezionale, non ci ha semplicemente dotati di piede marino, ma ci ha anche insegnato qualcosa di fondamentale: il grande rispetto per l’acqua. In tutti i sensi.
Ovviamente per il mare, che se amo con tutta la mia forza è di certo merito suo. Ma anche per l’acqua dolce che, a bordo, è da sempre un bene davvero prezioso. Tant’è che l’ordine categorico da giugno a settembre era di non sprecarla. Mai, neanche una goccia.
Tutto questo succedeva negli anni ’70, quando ancora non c’era tanta attenzione all’ambiente. Eppure, per noi fratellini Di Giorgio era già arrivato Il momento di difendere l’oro blu (come recita il titolo di un articolo di Confidenze in edicola adesso, dedicato appunto all’acqua).
Morale, sin dal mattino ogni nostra abitudine era scandita da piccole regole per tenere i consumi sotto controllo senza, però, negarci nulla. Quindi, appena svegli invece di fare la doccia ci tuffavamo in mare e, una volta usciti, ci liberavamo dal sale strofinandoci con la salvietta.
Quando ci lavavamo i denti, aprivamo il rubinetto solo per l’ultimo risciacquo della bocca. E dopo pranzi e cene insaponavamo i piatti in un catino, così eliminavamo lo sporco più grosso per poi tirarli a lucido con una dose minima dell’inestimabile liquido.
Da bambini la vita un po’ spartana è molto divertente e a noi piaceva da pazzi fare di tutto pur di risparmiare mezzo litro di acqua. Crescendo, però, ho scoperto che quei “giochi” sono entrati a far parte della mia educazione senza che me ne accorgessi.
Infatti, quando oggi sento dire che l’oro blu va usato con consapevolezza, sento la coscienza assolutamente a posto. Le mie docce, per esempio, durano pochissimo (l’alternativa della vasca da bagno non la prendo neanche in considerazione). Metto in funzione lavapiatti e lavatrice esclusivamente se sono piene zeppe (e vi assicuro che stoviglie e indumenti escono lo stesso pulitissimi). Se mi alzo da tavola e ci sono i bicchieri ancora mezzi pieni, verso il contenuto nei vasi sul terrazzo.
Ma non finisce qui. Accendo l’aria condizionata un attimo prima di sciogliermi come un gelato al sole. Se ho dei fiori, aggiungo l’acqua senza cambiarla del tutto (fra l’altro in questo modo durano molto di più). Non dimentico mai nessun rubinetto aperto. E quando lo chiudo, controllo di averlo fatto per bene.
Sì, insomma, sono un po’ maniacale e qualcuno potrebbe scambiarmi per la nonna di Greta Thunberg, timorosa di essere bacchettata dalla pedante nipotina. In realtà, contraria a qualsiasi tipo di spreco, sono da sempre attentissima a quello dell’acqua. Perché il riscaldamento globale mette davvero a rischio la sua presenza sulla Terra. Ma di questo io voglio lavarmi le mani (ovviamente a secco) e non sentirmi responsabile.
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