Appena ho letto il titolo Stare al cellulare fa invecchiare? mi è venuto un colpo. Per fortuna, però, ho scoperto che l’articolo su Confidenze in edicola adesso non parla solo del telefonino, ma anche del computer. Anzi, soprattutto del PC. Quindi, mi sono subito tranquillizzata.
Pur trascorrendo la maggior parte della mia giornata davanti al monitor, infatti, miracolosamente non sono ancora vittima dei suoi effetti collaterali. Perché se è vero che non fa benissimo alla vista, le diottrie che mi mancano sono le stesse da anni. Inoltre, portando gli occhiali da una vita, non li considero un accessorio legato all’età geriatrica.
Aggiungo che, complice tanta ginnastica, al momento i ritmi sedentari alla tastiera non hanno ancora dato problemi a schiena e collo. E se la luce blu danneggia la pelle, all’alba dei sessant’anni non credo che una rughetta in più possa deturpare completamente il mio viso. Soggetto, sì, ai cedimenti cutanei. Ma per inevitabili cause cronologiche.
Morale, alla mattina continuo ad accendere il mio computer senza particolari timori. Che non avrei, comunque, se a scatenare un invecchiamento precoce fosse davvero lo smartphone: a mio parere la più fantastica invenzione dopo la ruota!
Votata alla socialità sotto ogni sua forma, sin dalla più tenera età ho sempre amato il telefono. Al punto che a casa, quando ero piccola, la mamma aveva installato il lucchetto sulla rotella per evitare che ne abusassi.
La strategia non ha funzionato granché (trovare il modo per toglierlo è stato un giochetto da ragazzi). E, soprattutto, non ha placato il mio piacere di parlare con qualcuno attraverso una cornetta. Compresa quella delle cabine telefoniche che, quando esistevano, erano una mia grande passione. Al punto che mi bastava vederne una per sentirmi in contatto con il mondo anche se non avevo lo straccio di un gettone in tasca.
Figuratevi, quindi, il livello di gioia quando nella mia vita è apparso un dispositivo tutto mio, da avere sempre a portata di mano, pronto a chiamare anche gente lontana da Milano senza l’incubo della teleselezione (ve la ricordate?). Una pacchia!
Non a caso, sono stata tra le prime a comprare un cellulare quando ancora costava un botto (i miei soldi spesi meglio), non garantiva un servizio affidabile (per prendere la linea assumevo le posizioni più assurde) e aveva le improponibili dimensioni di un mattone.
Tutte quisquilie rispetto alla felicità di possedere quello strumento che mi connetteva con chiunque avesse voglia di fare due chiacchiere con me.
Insomma, dagli anni ’90 il telefonino è uno dei miei migliori amici, che mi permette di mantenere rapporti stretti con tutti gli altri amici. Un fedele alleato delle relazioni sociali al quale non rinuncerei neanche se mi invecchiasse.
Tant’è che, per fare il verso a Enrico di Navarra, se per lui Parigi valeva bene una messa, per me il cellulare vale bene una ruga.
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