Il fai da te non fa per me

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Non so lavorare a maglia né preparare conserve. Ma il mio vero incubo è il bricolage. Perché per il fai da te non sono proprio portata

Questo me lo faccio da me è il titolo di un articolo su Confidenze in edicola adesso in cui le intervistate raccontano la soddisfazione nel dedicarsi all’uncinetto. Preparare conserve. Fare il burro in casa. Addirittura, poi, c’è chi si spinge oltre e dichiara di dilettarsi a stuccare, scartavetrare e imbiancare come una vera professionista.

Più leggevo e più strabuzzavo gli occhi. Incredula ma, soprattutto, piena di ammirazione per quelle signore tanto abili in faccende che a me, purtroppo, mettono solo ansia.

Dico purtroppo, perché in realtà mi piacerebbe tantissimo saper lavorare a maglia o riuscire ad aggiustare quello che si rompe in casa. Invece, in entrambe le attività confesso di essere un disastro all’ennesima potenza.

A confermarlo ci sono diverse esperienze di una tristezza disarmante. Ai tempi della scuola, per esempio, per imitare le compagne mi ero armata anch’io di ferri e gomitoli pronta a sferruzzare cappellini, moffole e pullover.

L’entusiasmo, però, è durato pochissimo. Infatti, al primo tentativo ho subito capito: non sarei mai diventata la nuova Krizia che, dotata di un talento a me sconosciuto, partendo dalle prime creazioni in maglia si è trasformata in stilista di fama mondiale.

Al contrario, la mia unica sciarpa, lavorata in un mix di punti dritti e grovigli, era così brutta e sgangherata che non ho mai osato metterla neanch’io.

Le cose non sono mai andate meglio sul fronte del bricolage. Che mi vede talmente negata da non riuscire neppure a montare il più semplice mobiletto Ikea nonostante le istruzioni a prova di deficiente.

Nel caso del fai da te, a giocarmi contro è il panico. Che parte con la scatola ancora chiusa. Aumenta quando vedo i pezzi da assemblare. Ed esplode appena prendo in mano i sacchetti con viti e bulloni.

Lo stesso smarrimento mi coglie davanti a un trapano. Più che mai se è accompagnato da una bolla con cui attaccare i quadri dritti.

Insomma, da sola in un lavoretto in casa non mi sono mai cimentata. Però, in qualche occasione sono stata obbligata a vestire i panni dell’assistente. E se tendo a rimuovere dalla mente le esperienze, ci sono fatti che le riportano all memoria.

Mi riferisco, per esempio, a un poster gigantesco con una cornice pesantissima che anni fa abbiamo appeso in camera dei bambini. L’operazione ha previsto urla e pianti (miei) ogni volta che mi veniva imposto di controllare che il puntino a destra segnato a matita sul muro fosse esattamente alla stessa altezza dal pavimento del sinistro.

Portare il lavoro a compimento ha richiesto un tempo inimmaginabile. Ma alla fine mi sono lasciata alle spalle fatica, tensione. E per anni ho avuto la sensazione che tutto fosse andato liscio.

Invece, quando i ragazzi sono andati via di casa e hanno portato con loro il quadro, la parete ha rispolverato l’incubo di quella giornata eterna.

I mille tentativi per appenderlo dritto avevano lasciato sul muro una valanga di buchi, rimasti per anni nascosti dal poster. Ma quando l’abbiamo tolto sono subito ricomparsi. E guardando la superficie ridotta a un colabrodo, sembrava che da lì fosse passato Al Capone armato di mitragliatrice.

Insomma, l’orribile sciarpa e la parete sono (insieme a mille altre) prove lampanti: bricolage & Co. non fanno parte nel mio Dna. E io non diventerò mai una stilista di grido né un’esperta nel rinnovare appartamenti.  Stendo un velo pietoso, poi, sulla possibilità di preparare conserve o fare il burro in casa.

Confidenze