Mollo tutto e vado su un’isola è un articolo su Confidenze in edicola adesso nel quale le tre intervistate raccontano la loro scelta di abbandonare luogo natio e abitudini per rifugiarsi, nell’ordine, a Pantelleria, in Grecia, alle Canarie.
Pur amando il mare alla follia, al punto che ogni volta che devo tornare a Milano mi viene da piangere, ammetto che non so se ce la farei a trasferirmi definitivamente là. Per una serie di motivi che mi sono lampanti. E per un segnale che sembra mandarmi un messaggio molto chiaro.
Come dicevo, io adoro il mare. Mi piace guardarlo, tuffarmi dentro, solcarlo, sentire il suo rumore. Quando dall’autostrada inizio a vederne uno spicchio mi si allarga il cuore. E che sia calmo o in burrasca non cambia: per me è comunque gioia allo stato puro.
Non trovo niente male neanche la vita sulla costa. Completamente rilassata, al limite quasi della noia. Se non fosse che appena si annuncia il tedio hai la possibilità di farti una bella nuotata (negli ultimi tempi mi sparo 45 minuti al giorno). Andare a comprare la focaccia. Sdraiarti sul lettino a leggere con tutta calma (a casa dare una veloce scorsa ai titoli è un miracolo). Telefonare alle amiche con davanti lo spettacolo dell’orizzonte.
Insomma, una pacchia senza limiti che dovrebbe spingermi a portare il mio domicilio a due passi dalla spiaggia. Invece, l’idea è lontana non chilometri, ma mille miglia. Ovviamente nautiche!
Da milanese imbruttita, infatti, sento che il mio habitat naturale è in città. Dalla quale ho voglia di scappare appena mi è possibile. Ma per ritornarci sempre e comunque. Anche se con le lacrime agli occhi per essermi lasciata il mare alle spalle.
Cosa mi attiri come una calamita a Milano non lo so. Soprattutto in questa stagione, visto che passo le giornate rinchiusa tra le mura domestiche nonostante sotto casa abbia locali di ogni sorta e un cinema multisala. In più, ci sono i giardini, con tanto di planetario se volessi passare una serata tra gli astri.
Invece, no. Me ne sto incollata al computer, decisa a lavorare fino allo stremo. Ma appena spengo il monitor mi sento pronta per un intero weekend di cazzeggio tra le onde senza nessun senso di colpa.
Una deficiente? Forse. Ma non volendo essere troppo severa con me stessa preferisco definirmi una seguace della filosofia del sabato del villaggio. Quella, cioè, che invita a vivere le attese con festosa felicità, assaporandone ogni nanosecondo.
In questo, vi dirò, sono abbastanza maestra. Infatti, già il lunedì inizio a guardare il calendario fantasticando sul venerdì che si avvicina. E quando finalmente mi metto in viaggio, sono talmente carica di entusiasmo da fregarmene delle code infinite. Non a caso, accetto con radiosa rassegnazione i tempi assurdi che noi lombardi impieghiamo per raggiungere la Liguria.
Se abitassi sempre al mare, invece, non vivrei questo tourbillon di emozioni. Perché mi mancherebbe l’eccitazione di correre in spiaggia, dato che potrei andarci in qualsiasi momento. Non avrei l’acquolina in bocca per la focaccia appena sfornata, visto che potrei mangiarla sempre. Non sarei quasi commossa al tramonto, poiché vedrei il sole sparire all’orizzonte ogni sera.
Come sostenevo prima, tutto ciò dichiara in modo lampante l’impossibilità che io mi trasferisca a Pantelleria, in Grecia o alle Canarie. A questo punto, però, mi manca di rivelarvi il segnale che mi manda un messaggio molto chiaro.
Quando si parla tra amici e qualcuno chiede dove ci piacerebbe vivere se fossimo obbligati a lasciare Milano, io rispondo sempre la Liguria. Perché è sul mare, certo. Ma, molto più importante, perché dista soltanto 150 chilometri dalla Madonnina. Cioè, meno di 81 miglia nautiche, visto che sono esattamente 80,99. Quindi, da lì tornare in città è un attimo. Anche se c’è molta coda.
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