“Qualche tempo dopo, per caso, nel corso di un viaggio, Gladys rivide il conte Tarnovsky, il giovane polacco che le era piaciuto a Londra, durante un ballo.
Lo sposò e visse con lui due anni.
Era bello e infatuato della propria bellezza come una fanciulla; ed era incostante, bugiardo, tenero e debole.
La loro vita in comune fu un disastro perché usavano, l’uno contro l’altro, le stesse armi, armi femminili, menzogne, astuzie e capricci.
Dopo, lei non riuscì a perdonargli di aver sofferto a causa sua; detestava la sofferenza e, come i bambini, si aspettava ed esigeva la felicità.
Alla fine, tutte le passioni sono tragiche, tutti i desideri maledetti, perché si ottiene sempre meno di quello che si è sognato “.
Siamo in un’aula di tribunale. Gladys è una donna che ha collezionato anni cercando di tenerli lontani dall’avanzare dell’età. La bellezza. La paura di perderla. Tutta la sua vita è stato solo questo: coltivare il suo corpo, farlo sbocciare e tenerlo così, per sempre, sospeso nella fase nascente. Lasciar morire una figlia di parto, Marie-Thérèse, per nascondere non la vergogna di una gravidanza ma il ruolo poco giovane che da quello stato le cadrebbe addosso: nonna. Gladys di ceramica e petalo. Nonna. Mai. Non c’è dolore più grande della perdita di un figlio, dicono. Non c’è dolore più insostenibile di un attentato al proprio narcisismo, è provato.
Uccidere tuo nipote, pur di non far sapere al mondo. Quando un giorno il passato torna a bussare alla tua porta bastano pochi secondi per sapere fin dove sei disposta a spingerti.
Questa la trama. Di un romanzo scritto nel 1936. Oggi si parla e si scrive di milf e cougar credendo di essere coraggiosi e all’avanguardia nel trattare fenomeni relazionali e sessuali: in realtà tutto è già stato indagato. Da molto tempo.
Ho scelto questo libro in occasione della settimana e della giornata della Memoria. Esatto. Avete letto bene. Ho deciso di riflettere e tornare a quel periodo, lunghissimo, così terribile non attraverso il richiamo ad opere che dell’olocausto raccontano lo svolgersi ma attraverso la celebrazione di quanto quella barbarie sistematica ha trinciato: i futuri possibili e i talenti di milioni di vite. Il loro presente preso e strattonato via.
Iréne Némirovsky era nata a Kiev nel 1903 ed è morta di morte tremenda e disumana ad Auschwitz nel 1942. Aveva 39 anni. Aveva una mente eccezionale. Scriveva come pochi.
Leggere un romanzo lucido e tremendo come Jezabel, immaginare il grande successo che la scrittrice stava assaporando in quegli anni e tendere le orecchie al rumore dei passi che senza pietà si apprestavano a calpestare ogni cosa. La vita era sublime, la catastrofe inimmaginabile.
Shalom aleikhem
Irène Némirovsky, Jezabel, Adelphi
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