La mia notte prima degli esami

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Se mi avessero bocciata, i miei non me l'avrebbero mai perdonata. Ecco perché la notte prima della maturità ho pianto e urlato come un'aquila

Nell’editoriale Notte prima degli esami (su Confidenze in edicola adesso), il direttore parla della prova di maturità che 500.000 studenti stanno affrontando in questi giorni. E che io, dopo più di 40 anni, ogni tanto sogno ancora.

In realtà non c’è niente di strano, visto che sembra capitare a moltissimi. Secondo la neuroscienza cognitiva, infatti, quell’appuntamento rappresenta un importante rito di passaggio nell’età adulta. E può lasciare un segno che “tormenta” il sonno all’infinito.

Eppure, a me non sembra di ricordarlo perché all’epoca mi sentivo traghettata dall’adolescenza al mondo dei grandi. Semplicemente, sapevo benissimo che se non avessi passato l’esame i miei genitori mi avrebbero massacrata. E con un marea di programmi per il dopo-orale, ho vissuto il giugno e il luglio 1983 nel panico che me li facessero saltare.

Così, i due mesi sono trascorsi su un ottovolante di emozioni. A farla da padrone, ribadisco, era il terrore di essere bocciata e vivere le conseguenze imposte dalla famiglia. Ma quando toccavo il fondo dell’angoscia risollevavo l’animo ripetendomi che, tempo qualche settimana, non avrei mai più aperto un libro in vita mia. Neanche per sbaglio.

Dedita al divertimento sfrenato, alla leggerezza e alla spensieratezza, a quell’età non ero certo interessata alla letteratura né alla coniugazione dei verbi stranieri, le materie principali del liceo linguistico. Figuriamoci a tutto il resto che non fosse gozzoviglia.

Infatti, se portavo a casa pagelle dignitose non era grazie all’amore per lo studio ma alla paura di subire le ire della mamma. Da qui, la preoccupazione che una commissione esterna potesse accorgersi che, alla fine, i miei bei voti erano un po’ un bluff.

Ed ecco come sono andate le cose. Prima della maturità un’amica aveva invitato me e altre due compagne nel fresco della sua casa fuori Milano. Dove tutte insieme abbiamo seguito la seguente tabella di marcia: di giorno studiavamo, ripassavamo, ci esercitavamo. A pranzo e a cena mangiavamo come labrador in preda alla tensione. Dalle ore 21 facevamo scattare la bisboccia fino all’alba tra (secondo noi meritate) feste, puntate a Milano, discoteche.

Ma, ligie al dovere, prima di andare a dormire sfatte ingurgitavamo una tazzona di “caffè di caffè”. Cioè, una bomba preparata con la moka piena di caffè al posto dell’acqua che, la mattina successiva, ci riproponeva al mondo cariche di energia e lucide nonostante i bagordi.

Tutto ha funzionato alla grande fino alla mia Notte prima degli esami. Trascorsa fra le lacrime e le urla isteriche del tipo «Sono rovinataaaaaaaaa!!! Mi boccerannoooooooooooo!!!».

Le mie amiche erano già state interrogate e dichiarate ufficialmente mature. Mentre io, tra gli ultimi dell’appello per colpa della lettera sorteggiata, ero ancora in attesa di giudizio. Quella situazione mi ha mandata così fuori di testa che già allora mi ero ripromessa di non farne mai passare una uguale a eventuali figli.

Fedele alla parola data, alla vigilia della maturità dei miei ragazzi ho regalato a entrambi il biglietto per un concerto (di Madonna al primo e di Vasco Rossi al secondo), in modo che si divertissero e arrivassero a scuola più rilassati di me.

Invece, non ho mantenuto un’altra promessa: altro che non aprire più un libro. Dopo un’estate in cui al massimo ho sfogliato qualche Diabolik, finalmente libera dagli obblighi scolastici sono diventata una lettrice seriale. Anche dei romanzi lasciati intonsi durante il liceo, che riuscivo a riassumere ai prof soltanto grazie ai miracolosi bigini.

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