“Alicia era in piedi accanto al camino. Alla luce delle torce il suo vestito bianco baluginava come un fantasma. Alicia sembrava ignara della presenza della polizia. Era immobile, raggelata – una statua scolpita nel ghiaccio – con una strana espressione di paura in volto, come se fosse in preda a un terrore invisibile. Sul pavimento c’era una pistola. Accanto, nel buio, era seduto Gabriel immobile, legato a una sedia, con un cavo avvolto intorno alle caviglie e ai polsi. Gli agenti inizialmente pensarono che fosse vivo. La testa gli ciondolava su un fianco, come se fosse privo di sensi. Poi un fascio di luce rivelò che gli avevano sparato diversi colpi d’arma da fuoco in faccia. I suoi bei lineamenti erano scomparsi per sempre e al loro posto restava un ammasso di carne informe carbonizzato, annerito, sanguinante. Alle sue spalle, sul muro, erano schizzati dei frammenti di cranio, materia cerebrale, capelli e sangue. Il sangue era ovunque: spruzzi sul muro, rivoli scuri sul pavimento, sulle venature delle assi del parquet. Gli agenti ipotizzarono che fosse il sangue di Gabriel. Ma ce n’era troppo. Poi qualcosa brillò nel fascio delle torce: sul pavimento accanto ai piedi di Alicia c’era un coltello. Un altro fascio di luce rivelò il sangue che imbrattava il vestito bianco di Alicia. Un agente le afferrò le braccia e gliele sollevò verso l’alto. Le vene dei polsi presentavano tagli profondi: tagli freschi, che non smettevano di sanguinare. Alicia si oppose ai tentativi di salvarle la vita: ci vollero tre agenti per immobilizzarla. La portarono al Royal Free Hospital, a pochi minuti da lì. Durante il tragitto crollò e svenne. Aveva perso molto sangue ma sopravvisse. Il giorno dopo era distesa sul letto di una camera dell’ospedale. La polizia la interrogò in presenza del suo avvocato. Alicia rimase in silenzio per tutta la durata dell’interrogatorio. Le sue labbra erano pallide, esangui; tremolarono ma non formarono una parola, non emisero alcun suono. Non rispose a nessuna domanda. Non era in grado di parlare, non era disposta a farlo. E non parlò nemmeno quando venne incriminata per l’omicidio di Gabriel. Quando la dichiararono in arresto restò in silenzio, rifiutando di negare la sua colpa o confessarla. Alicia non parlò mai più”.
Alicia è una pittrice e suo marito Gabriel un fotografo di moda. Entrambi sono molto famosi. Vivono nella zona nord-occidentale di Londra. Un giorno lui le regala un quaderno. Quello che non riesci a dire, le sussurra, prova a scriverlo. Un giorno lui esce di casa per andare a fotografare delle modelle per Vogue. Rientra alle 23. Alle 23 e 38 la polizia, allertata da una vicina della coppia, lo trova cadavere. Lui aveva 44 anni, quel giorno. Lei 33.
Theo Faber ha 42 anni. Era un nevrotico. Oggi fa lo psicologo criminale. È sposato con Kathy. Vuole salvare Alicia. Per arrivare a lei si dimette dal Broadmoor Hospital e si fa assumere al Grove, la struttura dove è internata Alicia.
Perché Theo è così interessato alla figura di questa donna che vegeta nel suo totale silenzio imbottita da dosi massicce di psicofarmaci? Perché Alicia ha ucciso, se è davvero stata lei, suo marito, l’uomo di cui era follemente innamorata? E cosa la costringe a tacere?
Un thriller che scava nella profondità della pazzia e arriva in quel punto segreto in cui questa coincide perfettamente con la normalità. Pagine avvincenti, ricche di richiami alla scienza della malattia della mente, al mondo di chi a questa decide di dedicare la propria vita.
Chi vuole davvero scoprire la verità? E qual è il vero crimine, in questa storia?
Alex Michaelides, La paziente silenziosa, Einaudi
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