Mattina a Roma. Esco col cane, il fazzoletto premuto in faccia come in tempo di peste, per via dei miasmi dei cassonetti, e penso torvamente ai 1200 euro all’anno che versiamo per le tasse comunali. Dietro l’angolo, un marciapiede lindissimo: in comune si sono ravveduti? No, c’è un ragazzo africano che spazza.
Felice di camminare sul pulito, scaccio il pensiero del racket che c’è dietro. Pagare lui ha un senso, visto che fa opera di decenza. Il semaforo è rotto. Attraverso sulle strisce invisibili, facendo gran gesti alle macchine per non essere falciata. Entro nel parco di Villa Ada, un tesoro di botanica e di bellezza, e comincia lo slalom fra gli alberi caduti da anni, rinsecchiti a terra. Quando erano vivi li conoscevo tutti, uno per uno. E ho odiato l’amministrazione, in preda al più fosco rancore, comminando nel mio tribunale interiore severe pene ai responsabili. Poi, d’improvviso, la rivelazione. Ho letto su Dagospia Marziani a Roma, la rubrica di Gianluca Marziani, il più moderno e antico dei critici d’arte, il più visionario, e la mia prospettiva si è rovesciata. Ora ho un altro sguardo, la sindaca e gli assessori non li maledico più, anzi li amo!
Ecco il racconto che mi ha liberato da ogni rancore. Marziani va a Villa Medici a vedere Romamor, la mostra di Anne&Patrick Poirier, con i loro diari naturistici, i loro legami fra archeologia e cultura. Nel giardino ho intravisto un gigantesco pino, disteso come una creatura che si è addormentata, con la chioma e le braccia sghembe in direzione del tramonto strappacore. Il mio primo pensiero è stato: guarda i Poirier che si sono inventati stavolta, hanno portato un pino marittimo nel giardino aristocratico di Villa Medici, rompendo l’ordine della aiuole e dei palindromi panoramici. Ho provato il brividino elettrico di quando assisti a uno spettacolo maestoso, improvviso, catartico. Mi sembrava una di quelle installazioni da land art americana… E invece è solo un pino morto, ha avuto una visione. Ma ormai il miracolo è fatto: è così bello inventare mondi mentre osservi una mirabile forma spiazzante, pensare che quello non sia solo un albero caduto ma la riproduzione naturale di un piccolo disastro, è come racchiudere il fulmine dentro un box di cristallo. Se arte è il piacere della rivelazione e della menzogna, mi piace credere che quel pino fosse Superpino, un pezzo di mondo che ha recitato la parte dell’opera, una creatura che si è addormentata nel giardino, con la chioma e le braccia sghembe in direzione del tramonto.
Grazie, Marziani, maestro della trasfigurazione. Mi hai fatto capire che devo solo alla mia meschinità, alla pochezza della mia fantasia se lo stato di Roma mi rattrista. Certo, nel caso di Marziani il pino appariva come una bellezza nella bellezza, ma in situazioni disperate la sua visione geniale si può applicare anche alla schifezza, traducendola nel quotidiano. Ormai ho due occhi nuovi, e chi me li leva più? Il cassonetto sbudellato e nauseabondo cangia in una cornucopia cubista, gli alberi caduti sono installazioni romantiche, fratelli del pino di Villa Medici. L’autobus che non passa è uno sbarazzino gesto futurista, il moltiplicarsi dei cinghiali un ritorno all’Eden, lieto presagio di una prossima comunione uomini- bestie. Che grande artista è lei, signora Raggi. La sua Roma è una mostra permanente, visiva e olfattiva. Viva Marziani. Solo i poeti possono salvare il mondo, travisandolo.
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