La chiamano la malattia della solitudine, perché nella bottiglia si annega tutto: paura di essere rifiutati, insicurezza, delusioni. Ma la dipendenza dall’alcol finisce per inghiottirti in un buco nero forse anche peggiore di quello degli stupefacenti, perché si parte sempre pensando di potersi fermare, illudendosi che un bicchiere di vino in più non abbia mai fatto male a nessuno, e si finisce invece avvolti da una nebbia dolciastra, si finisce più soli di quando si è cominciato. Perché la vergogna è tale da nascondere a tutti, anche alle persone più care, il dramma dell’alcolismo. Una vera emergenza sociale, ci raccontano i referenti di Alcolisti Anonimi, l’associazione che offre aiuto a chiunque abbia problemi di alcol e che opera in Italia da più di quarant’anni.
Sul numero 11 di Confidenze in edicola questa settimana abbiamo intervistato la referente provinciale di Milano Alcolisti Anonimi (AA), Area Lombarda che, come tutti i membri dell’associazione, vuole essere citata solo con il nome di battesimo: Marialuisa.
Trovate la sua testimonianza nel racconto di Valentina Ferri “Ho provato un’altra ebbrezza” dove è riportata la storia vera di Renata, una donna che ha toccato il fondo della bottiglia e della vita, per poi risalire lentamente, passo per passo, proprio come prevede il programma di recupero i Dodici Passi di Alcolisti Anonimi. Perché, come spiega Marialuisa, “nell’alcolismo non si possono fare progetti a lunga scadenza, si tratta una malattia da cui non si guarisce mai del tutto. Ogni giorno è una piccola conquista e i nostri gruppi di incontri settimanali servono a dare il supporto psicologico alle persone, necessario a colmare quel vuoto interiore che causa la dipendenza dall’alcol”.
L’unico requisito necessario per far parte di Alcolisti Anonimi è la volontà di smettere di bere.
“D’altronde siamo in presenza di un fenomeno in costante aumento” aggiunge Marialuisa “l’età in cui si sperimenta la prima sbornia si è tremendamente abbassata e oggi ci sono ragazzi di 16 -17 anni che sono già dipendenti dall’alcol, che vedono come sostitutivo delle droghe, nell’illusione che possa fare meno male. Ma non è così”. Un dato confermato anche dall’ultima indagine effettuata internamente da AA nel 2012 dalla quale risulta che un campione considerevole di persone ha iniziato a bere in età adolescenziale (il 67,5% dei rispondenti).
Da qualche anno Alcolisti Anonimi ha attivato i suoi gruppi di ascolto anche nelle carceri: i 12 Opere sono presenti nel carcere di massima sicurezza di Opera, e un altro gruppo 12 Papillons funziona nel penitenziario di Bollate. È in corso anche un Protocollo di Collaborazione con il carcere di Pavia. “Nei Paesi anglosassoni è una realtà quasi scontata inserire il supporto di Alcolisti Anonimi anche nei penitenziari, mentre in Italia questa idea fatica un po’ a trovare spazio” conclude Marialuisa. E voi care lettrici avete qualche testimonianza in merito da raccontarci, conoscete qualcuno che è riuscito a salvarsi dall’inferno dell’alcol?
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