Fino a lunedì scorso se qualcuno mi avesse chiesto lumi su Khaby Lane, giuro che non avrei saputo cosa rispondere. Oggi, invece, non c’è dettaglio della vita del ventunenne senegalese di nascita e piemontese di adozione che non conosca.
Infatti, già considerato il terzo tiktoker più seguito nel mondo intero, all’inizio della settimana Khaby Lane da Chivasso ha compiuto una specie di miracolo: con 24,3 milioni di follower su Instagram, ha battuto il record planetario di Chiara Ferragni da Cremona, ferma a “soli” 23,9.
A me, che con una punta di orgoglio proprio stamattina ho scoperto il mio misero 911° seguace sulla piattaforma delle foto condivise, le cifre sopra indicate fanno girare la testa. Detto ciò, sono convinta che la sensazione di vertigine abbia colpito soprattutto la “povera” Ferragni, che di colpo si è vista strappare lo scettro di reginetta indiscussa dei social.
D’altronde, questo è ormai diventato il mondo. Fatto di carriere costruite a suon di “like”, vite private offerte al pubblico, camere fotografiche sempre a portata di mano per immortalare ogni singolo minuto delle nostre esistenze.
Certe volte mi domando quanto abbia senso tutto ciò. E se sia giusto che il successo personale venga decretato dall’entità del seguito sulle piattaforme online. Poi, dimentico l’ambiente ben diverso in cui sono cresciuta (del quale mi rimane un vago ricordo) e mi rispondo «Sì»: piaccia o non piaccia, cercare consensi sui social è una strada che può portare in alto.
Lo dimostrano, appunto, Chiara Ferragni e Khaby Lane. Ma anche molti altri nomi meno altisonanti che, grazie alle visualizzazioni gradite al prossimo, guadagnano palate di soldi in un periodo in cui la maggior parte dei comuni mortali è soggetta a casse integrazioni e rischi licenziamento.
Secondo alcuni, soprattutto gente della mia generazione, la faccenda è scandalosa, amorale, destinata a scoppiare come una bolla di sapone, senza lasciare traccia. Invece io, in barba all’età, sono convinta che i social rappresentino la versione moderna degli ormai vetusti festival di Castrocaro (per farsi conoscere nell’ambiente della musica), concorso di Miss Italia (l’anticamera del mondo della moda) e selezioni per diventare Velina (ovvero, la porta per lo spettacolo).
Insomma, in Facebook, Instagram & Co. vedo un trampolino di lancio dal quale spiccare un perfetto carpiato con avvitamento. Ma anche una pedana scivolosa dalla quale precipitare goffamente in acqua.
Sì, perché a fare la differenza nella vita professionale penso continuino a essere idee, intuizione, impegno e fortuna, ingredienti fondamentali per emergere. In qualsiasi epoca e qualunque siano i mezzi a disposizione.
A questo punto, concludo con una considerazione personale sui social. Che io uso in modo consono agli anni che mi porto sulle spalle. Per lavoro, pubblicando i post nella speranza che piacciano e che raccolgano sempre più like per avere conferma che quello che scrivo interessa vagamente a qualcuno. E poi, mettendo ogni tanto foto private per mantenere i contatti con gli amici, visto che il Covid ci ha allontanati tutti.
Morale, quando c’è chi mi dedica una manina con il pollice alzato gongolo felice, nonostante la mia missione non sia quella impossibile di salire sul podio accanto a Khaby e Chiara. Semplicemente, sul piano professionale il like mi conferma che anche lavorare da remoto ha un senso. Su quello personale, invece, mi ricorda che nel mondo post epidemia, pur non vedendoci tanto, non ci siamo dimenticati gli uni degli altri.
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