“Vederla senza cappello fu straziante. Una donna così giovane e bella con una specie di soffice alone di capelli cortissimi, fini, incolori, insignificanti: avresti preferito che fosse calva, dopo essere andata a farsi radere dal barbiere, piuttosto che vedere la stupida peluria che aveva sulla testa.
La transizione dal pensare nel modo in cui hai sempre pensato a una persona, viva e vegeta come te, a quello che significa per te in quel momento – come mi suggerì la sua lanuginosa calvizie, che quella persona è vicino alla morte, sta morendo – io la sentii non soltanto come uno choc ma come un tradimento. Un tradimento nei confronti di Consuela per aver assorbito il colpo così in fretta e fatto questa analisi. Era giunto il momento traumatico in cui si verifica il cambiamento, quando scopri che le aspettative dell’altra persona non possono più somigliare alle tue e che, per quanto tu ti comporti e possa continuare a comportarti nel modo più appropriato, lui o lei se ne andrà prima di te”.
Prima volta, e sarà anche l’ultima. Due sabati consecutivi e lo stesso autore. Ma davvero non potrebbe essere altrimenti.
La settimana scorsa ho parlato di relazioni adulterine, tema portante di Inganno, e del Roth sfacciato, senza mai un filtro, in fondo spietato. Oggi vi consiglio invece la storia di Consuela Castillo e David Kepesh.
Senza dubbio chi ama Roth è di altri romanzi che in genere vuole leggere ancora e ancora: Pastorale americana, Lamento di Portnoy, Il teatro di Sabbath e La macchia umana su tutti. Io però credo fortemente che la potenza dello scrittore americano abbia trovato il suo sfogo maggiore nelle sue opere ‘minori’, snelle ma nervose, tendinee.
Non mancano i temi cari a Roth. Il sesso, la fantasia erotica, l’uomo accademico trascinato verso il centro della terra dal bisogno corporale e fisico che toglie sacralità al pensiero astratto: David, 62 anni e la sua cattedra di Practical Criticism. Consuela che entra nell’aula, lei e i suoi 24 anni, “grande, una ragazzona; due seni prepotenti, bellissimi”.
Ci sarebbe tutto lo spazio per il Roth che uno si aspetta.
E invece no. Consuela, su carta piena di futuro, si ammala. Un cancro al seno.
Nel disincanto formale della narrativa di Roth accade quello che non succede mai nella comunicazione medica e sociale del ‘male’. La malattia che frusta, allontana, provoca ribrezzo e poi sembra quasi scomparire, sconfitta dal desiderio, dall’amore.
Roth, il più cattivo tra gli autori del secondo novecento, è il più tuonante e il più imperativo: la vita respira adesso, approfittatene. Non tiratevi indietro. Forza. A scrivere ci penso io, sembra dire. Voi andate ad amare.
Philip Roth, L’animale morente, Einaudi
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