Ci risiamo. Vi ricordate che ai tempi delle Olimpiadi parlammo dello scandalo per la parola “cicciottelle”, le campionesse di tiro con l’arco, così chiamate da un giornale? E vi ricordate del coro di proteste, come se il nostro fosse un Paese sensibile alla dignità femminile?
Ci risiamo. Ancora una volta un chiasso finto, vano e peloso “a favore“ delle donne. Giornali e tv all’impazzata hanno gridato alla discriminazione contro il genere femminile…mamma mia, e che era successo?
Che alla trasmissione di Rainuno, “Vita in diretta”, la conduttrice, Paola Perego, aveva letto da Internet alcune note sul successo delle donne dell’Est con gli uomini italiani. E chiesto al pubblico: cosa ne pensate?
Un ciclone: conduttrice licenziata, programma cancellato, e mezza Italia che commentava con vituperio. Giornalisti che quando arriva la notizia di un altro uomo che ha ucciso un’altra donna fanno spallucce – «Ah, ne hanno ammazzata un’altra» – sono scesi in campo a difendere il nulla. Tutti pronti a lottare a favore delle donne quando non serve.
Ma come sono poi queste donne dell’Est? Intanto non sono “donne” ma ognuna una persona diversa.
Voglio raccontare la mia esperienza con una di loro, Lijudmila, ucraina, che venne in casa come collaboratrice domestica, e fu motivo, senza volerlo, di un dramma sentimentale: il mio amatissimo cane, la Bionda, animale di molto appeal e poca virtù, si prese una tale cotta per questa bella ragazzona, bruna e slanciata come una dea del nord, che per tre anni non ci guardò più in faccia. Non mi venne in mente di generalizzare sul fascino specifico delle donne ucraine sui cani italiani, mi limitavo a rodermi di gelosia.
Quanto a Lijudmila, in casa faceva pochissimo e dormiva sempre, dovendosi rimettere dalle fatiche dell’infanzia (a otto anni lavorava già duramente nei campi), e mi toccava trottare al suo posto.
E io perché la tenevo? Perché ne ero soggiogata, non meno della Bionda ma per altri motivi: il suo fascino era che parlava la lingua del mio Paese natale. L’italiano lo aveva imparato lì, e non mi stancavo mai di ascoltare col suo accento esotico la lingua dei nonni, la lingua della mia infanzia, con una precisione fonetica e lessicale che mi lasciava secca. Risentivo espressioni dimenticate, parole che tornavano familiari attraverso quella strana messaggera del passato.
Fu lei ad andarsene, perché si annoiava troppo a non far niente, e la mia acquiescenza l’aveva stufata. Continuiamo a rimpiangerla, per quello spiritismo della memoria. Non potrebbe essere argomento di una trasmissione tv, con sociologi e psicologi. Ma di un ricordo, sì, irripetibile, come ogni incontro umano.
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