L’infinito viaggiare di Claudio Magris

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Viaggiare oggi è diventato quasi impossibile. Ma il viaggio è anche un modo di accettare la sfida, ritrovarsi in un luogo inatteso

“Non c’è viaggio senza che si attraversino frontiere – politiche, linguistiche, sociali, culturali, psicologiche, anche quelle invisibili che separano un quartiere da un altro nella stessa città, quelle tra le persone, quelle tortuose che nei nostri inferi sbarrano la strada a noi stessi. Oltrepassare frontiere, anche amarle – in quanto definiscono una realtà, una individualità, le danno forma, salvandola così dall’indistinto – ma senza idolatrarle, senza farne idoli che esigono sacrifici di sangue. Saperle flessibili, provvisorie e periture, come un corpo umano, e perciò degne di essere amate (…). Viaggiare non vuol dire soltanto andare dall’altra parte della frontiera, ma anche scoprire di essere sempre pure dall’altra parte.

Quando ero un bambino e andavo a passeggiare sul Carso, a Trieste, la frontiera che vedevo, vicinissima, era invalicabile – almeno sino alla rottura fra Tito e Stalin e alla normalizzazione dei rapporti fra Italia e Jugoslavia – perché era la Cortina di Ferro, che divideva il mondo in due. Dietro quella frontiera c’erano insieme l’ignoto e il noto. L’ignoto, perché là cominciava l’inaccessibile, sconosciuto, minaccioso impero di Stalin, il mondo dell’est, così spesso ignorato, temuto e disprezzato. Il noto, perché quelle terre, annesse dalla Jugoslavia alla fine della guerra, avevano fatto parte dell’Italia; ci ero stato più volte, erano un elemento della mia esistenza. Una stessa realtà era insieme misteriosa e familiare; quando ci sono tornato per la prima volta, è stato contemporaneamente un viaggio nel noto e nell’ignoto. Ogni viaggio implica, più o meno, una consimile esperienza: qualcuno o qualcosa che sembrava vicino e ben conosciuto si rivela straniero e indecifrabile, oppure un individuo, un paesaggio, una cultura che ritenevamo diversi e alieni si mostrano affini e parenti. Alle genti di una riva quelle della riva opposta sembrano spesso barbare, pericolose e piene di pregiudizi nei confronti di chi vive sull’altra sponda. Ma se ci si mette a girare su e giù per un ponte, mescolandosi alle persone che vi transitano e andando da una riva all’altra fino a non sapere più bene da quale parte o in quale paese si sia, si ritrova la benevolenza per se stessi e il piacere del mondo”. 

Non credo ci sia libro migliore, in questo momento. Viaggiare, spostarsi anche solo di poche centinaia di metri, è diventato quasi impossibile. Di certo, nel modulo di autocertificazione, non è prevista la voce ‘spostamento per turismo’ o, più consono al termine viaggio, ‘necessità di conoscere e ridimensionarsi’. Questo è il viaggio: ampliare le conoscenze e in queste ricollocare la nostra grandezza, il nostro piccolo e arrogante sapere. Viaggiare è la medicina che rafforza i muscoli dell’umiltà, che abbassa i livelli dell’arroganza, che tonifica la retina e acuisce lo sguardo.

Magris è un immenso viaggiatore, soprattutto di Microcosmi (termine che richiama il testo che gli valse lo Strega nel 1997): nel particolare c’è il senso del luogo.

Oggi possiamo viaggiare terre nuove, conosciute appena, spesso attraversate con distratta supponenza: possiamo viaggiare i nostri limiti caratteriali, conoscere le asperità di chi divide con noi la Nazione Casa, tentare nuovi percorsi per raggiungere il Centro di chi cammina idealmente con noi.

Ogni viaggio è una fatica, è la fatica del ritorno, che richiede nuovi equilibri: non è un souvenir, quello che un viaggiatore riporta con sé, ma un nuovo modo di pensare, di gestire le proprie coordinate.

Non esiste viaggio se non c’è ritorno, questa è l’unica legge. Non ci siamo resi conto che stavamo per partire, forse abbiamo preparato un bagaglio insufficiente, siamo arrivati in un luogo senza mappa.

Ma viaggiare è sempre, anche, ritrovarsi in un luogo inatteso, accettare la sfida, aprire la strada nuova, esplorare.

Claudio Magris, L’infinito viaggiare, Mondadori

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