“Resto sola. Tanti pensieri mi frustano la mente. L’agonia di chi tenta di medicare un orgoglio che resterà per sempre ferito. Potrei sostituire il re di Itaca col primo marito che passerà da queste parti? Potrei dimenticarlo con una pozione? No, non sarebbe lo so in cuor mio: Odisseo è insostituibile. Nessuno, come lui, sa ordire con gli intricati fili della mente. Devo tornare a quei maledetti scogli ove cerca una pausa da me. I mortali sono noiosi e prevedibili, penso, ma il cuore mi infonde il desiderio di rivedere l’eroe e toccare la sua pelle ispessita dalle tante traversie. Sopraggiungo alle spalle di Odisseo, lui è come in attesa sulla ruvida roccia, lo sguardo rivolto al mare instabile. Si volta e ammira le mie labbra di rubino che si muovono soavi: «Basta piangere. Vuoi partire, dunque? Sei libero. Vai, recupera dei grossi tronchi nell’isola e costruisciti una zattera. Io ti regalerò pane, acqua, vino rosso e vesti. Poi ti invierò un vento propizio: questo, per te, hanno deciso gli dèi». (…) Che sorte amara mi è stata destinata: il solo uomo che mi è piombato sull’isola come un regalo del mare, è l’unico esemplare di maschio che disdegna le dee. Lo stesso uomo che, quando il dio Sole cade giù dal mondo, si corica nel talamo e mi cerca di nuovo. Io non riesco a dirgli di no e mi abbandono a lui, consapevole che sarà una delle ultime volte. (…) Il mare che inanella Ogigia è calmo. Gli scogli che l’hanno visto tante volte piangente, questa mattina trovano un uomo intimamente felice. Non voglio pensare alla sfacciataggine con cui ha disprezzato il regno che gli ho offerto: questo è il momento dei saluti. Ci scambiamo molti baci, non lo tocca la tristezza dei miei occhi guastati dall’abbandono. L’ho lavato e rivestito con abiti profumati. Gli ho fatto deporre sulla zattera un otre di vino nero, uno di acqua e viveri saporiti in una bisaccia. Addio, eroe molteplice”.
È Calipso ad aprire il bel libro di Marilù Oliva, scrittrice e saggista ma soprattutto insegnante di lettere. L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre, questo il titolo completo dell’opera, fa parlare le donne, un coro fatto di voci sole: Calipso, appunto, poi tre intermezzi affidati ad Atena, Nausicaa, Circe, Le Sirene. Euriclea, Penelope. Tante voci per raccontare un solo uomo, per disegnare le infinite sfaccettature del viaggio esistenziale che è il ritorno verso noi stessi, il νόστος (nostos) che ci riporta a casa. C’è un punto fermo, nella vita di Odisseo e questo punto si chiama Itaca. Itaca è Penelope, è Telemaco, è Argo, è un certo cielo, una certa idea di pace. Ma per tornare a casa, per capirne il valore, occorre partire per un viaggio, un viaggio solitario, un viaggio di incontri, un viaggio con altri orizzonti, altri panorami. Bisogna soffrire (algos) per il ritorno (nostos), avere nostalgia (che meraviglia l’infinita ricchezza di ogni parola!).
Odisseo prende il mare. Più e più volte. Perde la bussola, ma non perde l’obiettivo. Si concede tempo, tanto. E questo tempo diventa pagina per le narrazioni, per le voci, per il racconto degli sguardi contrastanti, dei punti di vista scomodi.
Siamo tutti in viaggio, soprattutto in questi giorni. Stiamo tornando nella nostra Itaca, la casa all’interno della quale dobbiamo restare ma soprattutto la nostra individualità che dobbiamo riscoprire, una ‘solitudine’ che dobbiamo imparare ad abbracciare. Calipso ha soffiato un vento propizio per il nostro viaggio. Ci saranno onde alte, e anche burrasca. Non mancherà l’approdo.
(A tutte voi, a tutti voi, il mio abbraccio sincero. Forza!)
Marilù Oliva, L’Odissea, Solferino
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