No, non ho intenzione di usare quell’espressione più educata, maternità surrogata. È proprio un utero in affitto. Anzi, in vendita.
Mi dispiace, nel rifiutarlo, di essere in così cattiva compagnia, con i peggiori ceffi della politica italiana, come i leghisti- ma per altre motivazioni.
Questa pratica è il trionfo del ricco sul povero. Dicono che è un atto d’amore. E come no. Vi immaginate la cameriera di una miliardaria che chiede alla sua datrice di lavoro. «Senti, fai un figlio per conto mio? Poi me lo consegni, e non ti fai vedere più».
È l’ultima frontiera della schiavitù femminile. Anzi, molto più di quanto si pretenda da una schiava. Quando nella Bibbia la schiava Agar concepisce un figlio per il suo padrone, resta col bambino, mica glielo levano appena nato. Non sono certo una bigotta. In gioventù ho scritto un libro sulla Madonna, Vangelo secondo Maria, dove Maria, in lotta con Dio che l’ha designata senza il suo consenso, e lei per affermare il libero arbitrio abortisce.
Sull’utero in affitto i media hanno alzato un gran polverone bugiardo, come se quest’uso riguardasse soprattutto i gay. Clamorosamente falso. Il 95 per cento sono coppie etero che non possono o non vogliono figliare in prima persona. Se ci fosse un rapporto fra la coppia e la madre, se fosse un progetto comune – ma questa è solo una compravendita.
Sono per qualsiasi forma di genitorialità, per qualsiasi avventura, purché non ci sia sopraffazione, purché ci sia amore. Se vendere un figlio già nato è disperatamente drammatico, essere concepito per essere dato via è molto peggio. Non mi do pace dell’equivoco mostruoso, per cui pagare una sventurata per farla figliare al tuo posto e poi sparire, passa per una battaglia di sinistra, per una battaglia d’avanguardia.
Più che al bambino – chi nasce è a rischio anche nella famiglia più tradizionale del mondo – penso alla madre. Nove mesi insieme, momento per momento. Quando rimani incinta – una cosa che capita a tutti, ma quando capita a te, sembra la prima volta nel mondo – senti che nel tuo corpo c’è un altro, che dai la vita, in piccolo come fa Dio, be’ io ho provato una soddisfazione da albero.
Dicono: ma non è figlio tuo. Vaglielo al dire al corpo – vaglielo a dire all’anima, che poi sono la stessa cosa- quando il bambino è in te, sei tu!
Essere ceduti prima ancora di essere formati, dev’essere tanto brutto nascere per negazione. Oggi abbiamo accettato una cultura da schiavi, dove tutto è in vendita. Nel film di Polanski Rosemarie’s baby, i diavoli a N.Y. sono dei bravi borghesi, parenti del bimbo che sta per nascere, affollati attorno alla pancia della madre, intenti a proiettarvi la pochezza delle loro ambizioni. Difatti, nascerà il diavolo.
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