“Ella soffriva di quel fantasticare che si fa sull’irrevocabile, di quella stanchezza che prende dopo ogni fatto compiuto, di quella sofferenza che succede all’interruzione di un movimento abituale, al brusco arresto d’una vibrazione prolungata. (…).
Leone riappariva più grande, più bello, più soave, più vago; benché fosse separato da lei, egli non l’aveva abbandonata, egli era là, e i muri della casa sembravano aver conservato la sua ombra. (…) Ah! Se n’era andato, lui ch’era il solo piacere della sua vita, la sola speranza possibile di felicità! (…) Ella si maledisse di non aver amato Leone; ebbe sete delle sue labbra. La prese un desiderio di correre a raggiungerlo, di gettarsi nelle sue braccia, di dirgli: ‘Eccomi, son tua!’. Ma davanti alle difficoltà dell’impresa si perdeva d’animo; e i suoi desideri, alimentandosi di rimpianto, diventavano più vivi. Da allora, il ricordo di Leone fu come il centro della sua noia.
Tuttavia le fiamme si quetarono (…). L’amore a poco a poco si spense per effetto dell’assenza, il rimpianto soffocò sotto l’abitudine”.
Il più grande romanzo, e il più grande mistero letterario, di tutti i tempi. Gustave Flaubert disse “Emma sono io”. Chiunque legga le pagine dedicate a lei arriva alla fine e poi, sospirando, sussurra: “Emma sono io”. La scienza ha mutuato dal suo nome la definizione di una patologia, il bovarismo, la tensione continua verso il sogno che scinde dall’esperienza del reale.
Emma non è mai esistita. È il personaggio letterario per eccellenza. Opera della fantasia dell’autore e ingabbiata fin dalla nascita in un regno immaginario che riduce l’esistenza alla tensione, al desiderio, allo scontento: Emma vive nelle pagine, pagine che sono un muro impossibile da valicare. Emma vuole saltare. Emma bambina legge, mutua avventure. Emma donna non si libera ma si suicida quotidianamente: nulla è all’altezza mai, nessuna emozione è del presente, tutto è potenzialità inespressa e soffocata. La vita è nell’assenza di essa, nell’anelare, nel disperare.
Madame Bovary non è un romanzo d’amore. Non è un romanzo sulla tragedia di Berta, la figlia invisibile. Non è un manifesto della condizione femminile ottocentesca. Madame Bovary è un protocollo della scienza umana, è un know how esistenziale.
Emma è il paradigma del mistero letterario. È il romanzo che nega il romanzesco. È la letteratura che scrive la parola Fine. Gustave Flaubert ha risposto oltre cento anni fa a una domanda che ancora oggi i critici e i lettori di tutto il mondo si pongono: “Perché leggere?”.
Si legge per imparare ogni volta a morire. A dirsi addio. Ad occhi aperti.
Gustave Flaubert, Madame Bovary, Mondadori
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