«Matteo vai a fare lo zaino per domani». «Ancora un attimo, non ci ho lo sbatti».
»Non hai che…?». «Vuol dire che non ho voglia, mamma, aggiornati».
Come tanti, vivo anch’io con mio figlio conversazioni infarcite di espressioni e locuzioni del linguaggio adolescenziale, che cambiano in continuazione, neologismi derivati da non so quale mutazione linguistica.
Per la nostra generazione il sistema più semplice per comunicare era il telefono fisso (da bambina ho fatto in tempo a conoscere il duplex e quando sparì tirai un sospiro di sollievo, finalmente si poteva chiacchierare quanto si voleva).
Oggi invece i nostri figli sembrano improvvisamente diventati muti, con la testa china sullo smartphone a digitare messaggini su WhatsApp o a scambiarsi foto delle pagine di compiti, delegando parole ed emozioni alle faccine degli emoticons.
«Ma non fate prima a parlarvi a voce» ho esordito io una volta?
«Non abbiamo tempo» ha risposto mio figlio, quattordici anni tra un mese. «E poi c’è Ciccio Gamer che mi aspetta» citandomi l’ennesimo idolo dei videogiochi.
Così ho imparato anch’io a mandargli i messaggini su WhatsApp, contornati da cuoricini o da faccine arrabbiate, quando non mi risponde.
Altro capitolo è la musica: l’altro giorno tornando in macchina dal weekend ascoltavamo un Cd di Lucio Battisti, e mio marito sperava di fargli apprezzare la bellezza e la purezza delle sue canzoni quando lui sulle note di Emozioni è sbottato: «Che noia…ma dobbiamo andare avanti così tutto il viaggio». per me è stata quasi una pugnalata al cuore, ma ho mantenuto la calma e gli ho chiesto il perché di un giudizio così tranchant. Lui ha risposto: «Ma mamma, oggi nessuno di noi ascolta più canzoni d’amore».
Eppure non ne sono così sicura, così come non sono convinta che faccine e iconcine riescano a esaurire in toto il modo di esternare i sentimenti.
C’è sempre una chiave per avvicinarsi al mondo dei ragazzi e anche se cambiano gli interessi, i modi di comunicare e il linguaggio, ci sono situazioni che ritornano e che, come un testimone, passano di generazione in generazione. Il primo bacio, la prima uscita con un ragazzo o una ragazza, la vergogna nel mostrare i propri sentimenti, la paura di non essere corrisposti, perché un conto è mettere un like su Facebook e un altro trovarsi davanti la ragazza dei tuoi sogni e non sapere da che parte cominciare.
Per questo vi invito a leggere su Confidenze la storia vera Io come loro, raccolta da Giacomo Agnoletti, ci fa sentire di nuovo ragazzi (ammesso che non si sia mai smesso di sentirsi tali) e soprattutto ci fa capire che i nostri figli hanno comunque bisogno di conferme, rassicurazioni, perché quello che a loro sembra straordinario e unico, incomprensibile dai genitori, è lo stesso che è capitato anche a noi tanti anni fa, cogliendoci, ieri come oggi, indifesi e impreparati davanti alla vita.
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