Da giovane non mi preoccupavo della vecchiaia. Che mi sembrava lontanissima. E, comunque, un argomento zero interessante, visto che quando hai pochi anni non pensi mai al momento in cui ne avrai tanti.
Da quei tempi, però, tutto è cambiato: a gennaio ho spento 60 candeline (60!!!). E poche settimane fa sulla torta della mia mamma ce n’erano 82 (82!!!).
Non vi stupirà, allora, sapere che il primo articolo di Confidenze che ho letto questa settimana è Un posto in cui invecchiare insieme. Che parla di un condominio sociale dedicato agli over 65, inaugurato di recente a Firenze.
La struttura è dotata di spazi comuni per gli ospiti, ai quali viene anche fornita assistenza sanitaria. Insomma, sulla carta si tratta del posto migliore dove rifugiarsi appena l’età diventa un problema.
Un dettaglio non da poco in un periodo in cui la questione degli anziani è sempre più spinosa. Con l’innalzamento della prospettiva di vita, infatti, gli over sono in aumento. E, purtroppo, prendersi cura di loro è spesso molto difficile.
Quindi, l’idea di radunarli insieme in un posto gradevole e protetto sembrerebbe la soluzione perfetta. Peccato che non sia esattamente così.
Intanto, di solito queste strutture hanno costi proibitivi che non tutte le famiglie possono affrontare. Inoltre, gli anziani le vedono come il fumo negli occhi e le considerano un parcheggio finale. Il che è tristissimo.
In una società che funziona, le cose dovrebbero andare diversamente.
Mi piace, allora, sognare un luogo accogliente, davvero accessibile a chiunque e ambitissimo dagli over.
Circondato da un po’ di verde, lo immagino coordinato da persone perbene, pronte a trattare gli ospiti con cura, gentilezza e professionalità (invece, spesso le cronache raccontano situazioni di atroce crudeltà).
Dopodiché, vorrei che gli orari delle visite fossero flessibili, in modo che il continuo via vai dei giovani portasse anche ai vecchietti più soli tanta gioia e un’ondata di socievole mondanità.
Mentre scrivo, mi viene in mente quanto la gestione degli anziani fosse facile una volta. Quando le famiglie abitavano insieme. E le mille necessità di grandi e piccini ricadevano sull’intero nucleo invece che su un singolo elemento.
Infatti, tutti si occupavano di tutti. Per esempio, l’attempato malfermo veniva piazzato in poltrona con i bambini che gli giocavano accanto. E i genitori potevano lavorare liberi dall’ansia di fare i badanti.
Con questa semplice organizzazione, nonni e nipoti si tenevano sotto controllo a vicenda. Si facevano compagnia. Se, poi, succedeva qualcosa agli uni, gli altri davano subito l’allarme.
Il momento più bello, però, era alla sera. Quando la famiglia si riuniva per la cena, durante la quale poteva condividere racconti ed emozioni nel calore del proprio clan.
Tutto questo è ormai rarissimo. La società si è evoluta. La vita è diventata complicata. Gli appartamenti sono minuscoli. Lo spazio per tutti non esiste più. I soldi scarseggiano.
Ben vengano, quindi, i condomini sociali: una bella alternativa a un ménage casalingo insostenibile. E al gravoso fardello della solitudine.
Per combatterla, l’idea di creare una rete di “vecchi amici di nuova data” è geniale. E riuscire a sistemarla in un edificio in cui possa fare quattro chiacchiere, giocare a carte, passeggiare e praticare attività fisica sotto lo sguardo attento di affettuosi professionisti sarebbe la manna dal cielo.
Ecco perché sono convinta che i condomini sociali dovrebbero essere un diritto per la comunità. Anzi, penso che se diventassero una realtà consolidata, fuori ci sarebbe la coda di aspiranti ospiti.
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