Pizza (Margherita), amore mio

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Nonostante sia proposta mille versioni, per me la pizza delle pizze è la Margherita. Buonissima 12 mesi l'anno, sia mangiata a morsi sia seduta a tavola

Quando tirano in ballo i soliti luoghi comuni ed evocano pizza, pasta e mandolino, gli stranieri non mi offendono. Anzi, i tre vocaboli vagamente canzonatori nei confronti dell’Italia mi rendono assolutamente orgogliosa. E mi fanno anche venire l’acquolina in bocca (i primi due) a tempo di una musichetta dai garruli suoni folkloristici (l’ultimo).

Detto questo, tra gli stereotipi sul Belpaese quello che più mi fa impazzire è la pizza, che associo sempre a occasioni se non proprio festose, certamente di grande goduria.

Mi viene in mente, per esempio, il momento magico in cui in spiaggia esco dall’acqua e mi scaravento sul sacchettino con dentro il trancio grondante di formaggio e pomodoro, per azzannarlo con la voracità di un lupo. E pazienza se dopo mi viene una sete da dispersa nel deserto: una bella coca zero ghiacciata placa l’arsura, rinfresca il palato e mi rimette in pace con il mondo.

Dalle temperature a mille al gelo dell’inverno, è sempre la pizza a dare un tocco speciale alla domenica sera. Che spesso mi vede con le gambe sfatte dallo sci sotto il tavolo e una Margherita filante sotto gli occhi: il meritato premio per le prodezze sportive del weekend.

Se vi parlo di questo miracolo culinario è perché su Confidenze in edicola adesso c’è un articolo, Pizze gourmet, che propone il piatto Made in Italy per eccellenza in sei versioni inedite. Tutte da provare.

Leggendolo, ho individuato subito la mia preferita. Ma confesso che quando sono al ristorante lascio poco spazio alla fantasia e mi oriento sul classico dei classici: la stessa (e semplicissima) Margherita che trangugio al mare.

La scelta, però, non avviene mai in scioltezza. Appena mi consegnano il menù, infatti, mi trasformo in un mix tra uno straniero emozionato per la sua prima pizza originale e una scolara ottusa che non riesce a imparare la lezione.

Mi spiego meglio. Nonostante ormai (come tutti) conosca a memoria non solo ogni singola proposta, ma anche l’ordine di apparizione (i menù iniziano sempre dalla Marinara e finiscono con le versioni più elaborate), mi soffermo comunque sugli ingredienti, che studio come se non ne avessi mai sentito parlare.

E se l’attenzione non si abbassa neanche di fronte ai nomi più evocativi tipo “pizza al tonno”, oppure “alle zucchine”, quando ne vedo di meno lapalissiani, del genere “dello chef”, “del golfo” o “miravalle”, cado in preda a una curiosità che mi fa detestare dal cameriere.

Infatti, al momento dell’ordinazione domando se le zucchine sono trifolate o cotte al forno. Se il salame è piccante o no. Se la Quattro Stagioni e la Quattro Formaggi prevedono un mischione confuso di ingredienti o una diligente distribuzione sui quattro spicchi. Se le olive hanno il nocciolo. Se i carciofi sono freschi o sott’olio (avete presente Meg Ryan in Harry ti presento Sally? Una dilettante!!!)..

Dopodiché, informata sul più minimo dettaglio, non ce la faccio a cambiare le mie abitudini e chiedo puntuale la Margherita. Sperando che il cameriere non si sia nel frattempo imbufalito e che, invece di portarmela appena uscita dal forno, non aspetti il tempo necessario perché la sua vendetta consista in un piatto servito freddo.

Confidenze