“Viviamo una straordinaria stagione di tecnologie ma non, nello stesso tempo, un’epoca di brillante giornalismo d’inchiesta o di frontiera. Gli esempi positivi per preparazione e coraggio non mancano. I campioni pure. La forza attrattiva di una professione, nonostante tutto, è inversamente proporzionale alla crisi dell’editoria. I modelli non possono essere né Snowden né Assange. Il giornalismo non si esaurisce, per fortuna, nel furto di dati, in un’attività di intelligence o di semplice ricettazione. A maggior ragione, oggi che le informazioni sono in teoria tutte a portata di mano, è necessario indagare, confrontare, analizzare mossi da due infallibili carburanti: la curiosità e il dubbio. L’etica della professione impone di non fermarsi mai davanti alla verità ufficiale, né di mostrare, con presunzione intollerabile, di possederne una. Le regole della professione non cambiano con la tecnologia: diventano ancora più necessarie”.
L’arrivo e la penetrazione dei social network ha cambiato, e di molto, non solo il modo di fare uso delle notizie da parte dei lettori ma anche il modo di reperirle e adattarle da parte di chi questo mestiere lo fa. Non solo. Si è allargata a dismisura la possibilità di raccontare e far passare contenuti in modo non controllato, non pesato da direttori e caporedattori attenti e di vero ruolo. Sul web tutti scrivono e si confondono testate reali da testate fittizie; a farla da padrone sono i titoli urlati e le foto accattivanti, i canali di condivisione che fanno riferimento a opinion leader dell’ultimo minuto che basano la loro credibilità sul numero di amicizie e like su facebook.
La notizia o chi per lei deve arrivare subito, poco importa se il contenuto dell’articolo è attendibile, completo, rispettoso degli eventi e degli attori protagonisti. Battere tutti sul tempo: questo ha mandato in tilt il mondo dell’informazione ‘buona’. Non prestare attenzione a cosa si legge, alla testata, alla firma, al confronto tra più narrazioni: in questo il lettore frettoloso e disattento contribuisce a far calare il livello qualitativo del giornalismo.
Ferruccio de Bortoli è giornalista professionista da 42 anni. Ha diretto il Corriere della Sera per due volte. È stato caporedattore dell’Europeo e del Sole 24 Ore.
In questo bel libro ci racconta con eleganza i fatti della nostra Storia che ha avuto modo di osservare, partecipare, narrare. Una analisi del capitalismo italiano, delle sue “(molte) miserie e delle sue (poche) nobiltà”, il rapporto tra giornali e magistratura, la fascinazione tutta italiana della politica che da Palazzo arriva nei Salotti e penetra nel gossip. Questi i poteri intorno alla cui forza De Bortoli ci invita a interrogarci insieme alle riflessioni sul mistero Mediobanca, alla ambiguità di Agnelli, ai conflitti di Berlusconi, senza dimenticare Prodi, Monti e la ‘bulimia del potere personale’ di Renzi.
Non mancano veri e propri camei, come il racconto dell’incontro/intervista a Damasco con Bashar al-Assad nel 2002. Poi i ritratti, vari, politici, umani, da Carlo Maria Martini a Umberto Veronesi, da Indro Montanelli a Giorgio Ambrosoli, da Walter Tobagi a Maria Grazia Cutuli. A questi ultimi due, suoi e nostri colleghi che hanno vissuto questo mestiere con dedizione assoluta, De Bortoli ha dedicato il suo libro.
I grandi fatti, ritratti di uomini e donne, riflessioni, Memorie scomode (anche per chi le scrive): una lettura che può insegnare, indicare un percorso, un punto di vista, a chi questo lavoro lo pratica ma soprattutto ai lettori.
“I buoni giornalisti, preparati, esperti, non s’inventano su due piedi. Ci vogliono anni”.
Ferruccio de Bortoli, Poteri forti (o quasi), La nave di Teseo
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