I dati parlano chiaro: la maggior parte degli europei (58,6%) è in sovrappeso. Non solo. «Il 10,1% degli italiani adulti è affetto da obesità. Una percentuale inferiore ai numeri di altri Stati, come per esempio Malta, Grecia, Germania, Francia, Scozia e Irlanda» spiega Michele Carruba, Vice Presidente Obesity policy engagement network – Open e Presidente onorario Centro di Studio e Ricerca sull’Obesità (CSRO) dell’Università degli studi di Milano. «Invece, per quanto riguarda l’obesità infantile, l’Italia è tra gli Stati peggiori insieme alla Grecia, a livello europeo». Come mai succede? Perché circolano parecchi cliché sui chili di troppo. Ecco alcuni dei più diffusi.
1) “Ingrasso perché non so resistere alle tentazioni”
Gli scienziati concordano: le persone con problemi di peso possono essere affette da obesità, una malattia cronica che si sviluppa nel tempo. L’obesità ha molte cause, alcune delle quali vanno oltre il controllo della persona che ne soffre: genetica, ormoni, stress, sonno e farmaci, per esempio. «È importantissimo cominciare a considerare l’obesità in maniera corretta, smettendo di colpevolizzare le persone che ne sono affette con giudizi del tipo: “Mangi troppo, non fai sport”. Stigmatizzazioni scorrette perché, per esempio, l’iperfagia (appetito esagerato) non è la causa, ma un sintomo della malattia» puntualizza Carruba.
2) “Non posso farci niente, è la mia costituzione”
Circolano tante fake news relative ai chili di troppo e all’obesità: si dice che dipendano dalla costituzione, che un bambino in sovrappeso tornerà in forma crescendo… Luoghi comuni pericolosi, perché non permettono di focalizzare e fronteggiare il problema in maniera adeguata, facendosi aiutare da medici ed esperti competenti.
3) “Basta stare a dieta e torno in forma”
È senz’altro vero che stile di vita, dieta corretta e movimento possono fare molto per contrastare il sovrappeso. Però, se si parla di obesità, non sempre sono sufficienti. L’obesità, infatti, comporta per la cura il coinvolgimento molteplici figure sanitarie. Spesso, infatti, non può essere risolta in autonomia dalla persona che ne soffre, anche se uno studio internazionale (Action-IO) svela che solo l’8% degli italiani si rivolge al medico. «Per migliorare la situazione è fondamentale promuovere la prevenzione primaria (destinata a tutta la popolazione) e secondaria (mirata alle persone a rischio)» puntualizza Carruba.
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