L’articolo Dove lo butto? (su Confidenze in edicola adesso) spiega esattamente come muoversi nel complicatissimo mondo della raccolta differenziata. A cui io sono del tutto votata, anche se spesso mi ritrovo a vagare tra i cassonetti, senza sapere come liberarmi di quello che ho in mano.
Non succede quando sono a casa, perché le precise regole condominiali e l’attenta consulenza di Maria non lasciano mai dubbi sul da farsi. Ma appena vado fuori Milano, le cose si ingarbugliano così tanto, che sbarazzarmi della spazzatura diventa un’impresa ciclopica. Oltre che un vero incubo.
Ogni Comune, infatti, pare avere normative diverse, con la plastica che a volte va con le lattine e altre assolutamente no (non si capisce, fra l’altro, con quale criterio venga fatta la scelta). E se la carta regala (sulla carta) l’unica certezza con il suo contenitore chiaramente dedicato, a volte va infilata in fessure talmente minuscole che, come un paziente certosino, ti ritrovi ad assottigliare il più rifiuto più esile, visto che due giornali insieme non entrano neppure se spingi come un dannato (questo succede nel mio posto del cuore in montagna).
Morale, ci sono momenti in cui davanti alla pattumiera ho la tentazione di comportarmi come in una discarica, dove abbandonare la cianfrusaglia senza il minimo senso civico. Poi, però, penso che come qualsiasi italiano anch’io produco 500 chili di immondizia all’anno. E che se non la indirizzassi verso il riciclo sarei davvero una selvaggia.
Quindi, mi sottopongo al supplizio della raccolta differenziata ovunque mi trovi. Anche al mare, nonostante pure lì buttare via gli scarti richieda un impegno snervante.
Tutto fila liscio con umido e carta, il cui smaltimento è previsto nel bidone marrone e nel cassonetto giallo comodamente piazzati a due passi da casa.
Più complicata, invece, è la questione della plastica, che le regole della zona impongono sia raccolta in enormi sacchi riconducibili a chi se ne sbarazza. Il che è giusto, perché obbliga i furbetti e i disattenti a comportarsi come si deve con l’inquinante materiale pronto a soffocare il Pianeta. Peccato, però, che le dimensioni enormi di queste bisacce giallino-trasparente siano fonte di un dubbio amletico: gettarle mezze vuote alla fine di ogni weekend, oppure liberarsene solo quando sono piene zeppe?
Attenta all’ambiente, ovviamente io opto per la seconda soluzione. Quindi, nel mio sgabuzzino del mare giace un catafalco in cui piano piano accatasto bottiglie appiattite (non vanno appallottolate) finché non raggiungono il bordo. E quando finalmente scatta l’ora X che consente alla mia coscienza green di buttarlo via, è talmente voluminoso e pesante che lo trascino fuori casa come se fossi la protagonista di un giallo alle prese con un cadavere da occultare.
Non va meglio con il vetro, la cui zona di smaltimento (sempre al mare) è quasi più lontana dell’orizzonte e mi obbliga a una seconda forma di ammonticchiamento domestico. Che si conclude nel momento in cui il ripiano della cucina raggiunge l’aspetto di un laboratorio di Murano, con un trasferimento delle bottiglie nel bauletto della moto e un esodo verso i cassonetti alla velocità delle lumache, per evitare che si frantumino durante il trasporto.
A questo punto, da eliminare rimarrebbero solo le pile e le attrezzature elettroniche. Ma non avendo la minima idea di dove potrei buttarle, ho deciso di abolirle dall’appartamentino estivo, dove tutto è alimentato dalla spina (di batterie non voglio sentirne parlare). E se un giorno radio o spazzolino da denti dovessero rompersi, li terrei lo stesso. Come soprammobili, pur di non andare a caccia del cassonetto giusto per loro.
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