“La prima volta che la vidi, Marta Marzotto voleva regalarmi il suo ritratto, un grande olio di Guttuso. Dissi no, grazie, sono in bicicletta, dove lo metto? Non mi fidavo. Allora le quotazioni di Guttuso erano altissime, un regalo così costoso obbliga, pensavo. Sbagliavo, perché non la conoscevo. Marta dà, e dimentica. Per lei dare è una pratica di salute, ha un tale sovrappiù di doni che se non li distribuisse si piegherebbe come un albero dai troppi frutti. Guai a elogiare un suo foulard, un suo gioiello: immediatamente se lo leva, e te lo dà. Ha una forza da uomo e ti insegue per le scale per infilarti la sua giacca, calzarti il suo cappello, allacciarti la sua collana” . (Da un’intervista pubblicata su Effe, luglio 2014).
A Pietrangelo Buttafuoco, che aveva scritto un bell’articolo su di lei, mandò 200 rose bianche. Un gesto da Colette, della belle époque dove viveva, sorda alla storia, quella Sheerazade ottuagenaria vestita da tigre, la chioma furente, sdraiata sul letto che divideva con una distesa di carte, taccuini, foto, libri. Quel mare di appunti e ricordi erodeva il letto di Marta, lasciandole a malapena lo spazio per girarsi. Nel suo teatro fantastico tutto era un trompe-l’oeil, con una regia selvaggia e raffinata, e infallibile – anche il disordine.
Visitatori, passanti e famigli, si offrivano di mettere a posto a ma lei «No, faccio io!». E non faceva mai, e il mare si espandeva, si trasformava in giungla dalla quale ogni tanto emergeva una pantera d’oro che poi era una borsetta da sera, o un cobra di brillanti che era un bracciale, e gemme in forma di caravelle, tre miniature mirabili col remino che veniva fuori, lo stendardo mosso da vento, La Nina la Pinta e la Santamaria, i giocattoli di Marta, le opere di Marta, regalmente sparsi qua e là.
Come se la maturità non l’avesse mai sfiorata, questa parola tremenda che insinua la fine. Che è venuta, veloce, dopo una malattia breve, come uno scherzo che abbia fatto a se stessa. Era la persona più profondamente, fantasticamente, lietamente, spiritosamente generosa che abbia mai conosciuto. Era impossibile non volerle bene per sempre – il povero per sempre della condizione umana. Che fregatura non credere nel Paradiso. Lei mi sarebbe piaciuto rivederla. Ma poi, chi lo sa?
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