“Erano arrivati a migliaia in quella radiosa giornata di giugno, attirati dalla nostalgia del passato e, alcuni, dalle speranze per il futuro. Harvard Yard, solitamente tranquilla al centro della frenetica cittadina di Cambridge, quella mattina era gremita da una folla di visitatori che si stendeva dai larghi gradini di pietra della biblioteca Widener fino alla cappella, premendo contro la cancellata di ferro battuto che circondava il piazzale. Gli edifici e i giganteschi alberi fronzuti erano molto vecchi, gli ospiti di tutte le età. Erano arrivati per il raduno di Radcliffe e per la cerimonia annuale del conferimento della laurea delle università gemelle di Harvard e di Radcliffe che da poco era stata unificata e che costituiva il primo evento di quei tre giorni di festeggiamenti. C’erano ex allieve a partire dal quinto raduno di classe fino a una veterana che celebrava il suo settantacinquesimo. C’erano anche mariti, figli adulti, genitori dei laureandi e i laureandi stessi, in tocco e toga. Tutte le sedie pieghevoli di Cambridge che si potevano noleggiare erano state sistemate sul prato centrale e sui marciapiedi, ma era già evidente che non ce ne sarebbero state a sufficienza per tutti. Le ex allieve dovevano radunarsi nei pressi del Johnson Gate, ai margini di quella confusione, trovare le loro compagne di corso e quindi sfilare, classe per classe, annunciate dal Maestro delle cerimonie di Harvard. Indubbiamente, di lì a poco, lo spettacolo sarebbe stato grandioso e commovente, in quel momento era solo caotico e frastornante”.
Lo avevo portato in viaggio con me in Scozia, questo romanzo. Una splendida copertina, la garanzia della casa editrice, una trama che sembrava promettere una lettura non troppo impegnata, rilassante, accattivante. Il libro ideale per non allontanarsi dalla bella scrittura ma senza dover pensare troppo, anzi. Ok. Mai (pre)giudizio fu più sbagliato. Quattro donne si ritrovano dopo venti anni dal giorno della loro laurea, pronte a tirare le somme di una vita, a raccontare il futuro che si aspettavano e che ormai fa parte della loro storia passata. Annabel Jones, Christine Spark English, Emily Applebaum Buchman, Daphne Leeds. Quattro nomi, quattro occasioni per l’autrice per affrontare tutte le tematiche sociali che hanno scosso, rivoluzionandoli, gli Stati Uniti e, per estensione e riflesso, il mondo occidentale. Dagli anni 50 ai 70: la forbice di classe, la difficoltà di inclusione degli ebrei, la disparità di trattamento formativo tra uomini e donne, l’onta della malattia mentale, la maternità senza colori confetto, le paternità non recuperabili, il peso delle scelte famigliari, la solitudine nel successo, il tradimento reiterato verso se stessi, il gusto del piacere, la poca dimestichezza con la libertà. Nessuno dei personaggi assume carattere di perfezione, nessuno è un modello: tutti hanno segreti, sensi di colpa, sogni, tutti assaporeranno il gusto amaro della sconfitta e quello mai abbastanza dolce della felicità.
Sono molte le storie che nascono dalla storia di questa Riunione di classe. C’è la storia d’amore tra i suoi genitori che Christine imparerà a capire solo quando scoprirà la verità su Alexander (personaggio che rende questo romanzo davvero speciale e raro per la delicatezza di analisi), suo marito. C’è la storia di Daphne, la ragazza d’oro, della sua epilessia tenuta nascosta a tutti per vergogna, della sua bambina più piccola, nata con la Sindrome di Down, rifiutata dal marito e inserita in una narrazione coraggiosa, poco romanzata, inserita nello spirito di quel tempo, di quel luogo. C’è la storia di Emily, che un pomeriggio spera nell’insperabile: la morte dei suoi due bambini. C’è il suo percorso di cura. La possibilità di dare un nome al proprio buio.
Davvero. Davvero un grande libro.
Rona Jaffe, Riunione di classe, Neri Pozza
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