L’obiettivo era conoscere politica, cultura, arte e storia dei Paesi europei. Allargare i propri orizzonti. Assimilare usi e costumi stranieri.
Vi sto parlando del Grand Tour, cioè del viaggio che dal XVIII secolo è diventato un appuntamento obbligatorio per i giovani delle famiglie aristocratiche.
I quali potevano scegliere tra tante mete del Vecchio Continente. Eppure, alla fine puntavano sempre sull’Italia.
D’altronde, il Belpaese (un appellativo non casuale) è obiettivamente attraente sotto tutti i punti di vista. Tant’è che, ancora oggi, non esiste turista che ne rimanga deluso.
A lanciarlo ha contribuito un battage mica da ridere. Infatti, in tempi in cui non esisteva la possibilità di collegarsi a Internet, cartelloni di città e borghi nostrani hanno invogliato i viaggiatori a scoprire di persona lo Stivale.
Questi poster sono esposti a Torino, nella mostra Visitate l’Italia! Promozione e pubblicità turistica 1900-1950 di cui si parla nell’articolo Gran Tour in 200 manifesti storici su Confidenze in edicola adesso. Da vedere, perché sottolinea quanto il nostro Paese sia davvero di Bengodi.
Sicuramente per l’offerta di paesaggi che spaziano dalle montagne più alte d’Europa al mare cristallino della Sardegna. Dalle dolci colline dell’Umbria alla tranquilla calma della Pianura Padana.
Ancora di più, però, per l’impareggiabile cucina!
Lo dico dopo aver visitato città come New York e Bangkok. Guidato nei deserti del nord Africa e della California. Essermi tuffata in acqua alle Maldive e in Costa d’Avorio. Tutte esperienze emozionanti, ma che all’ora dei pasti lasciavano l’amaro in bocca.
Sì, perché davanti all’ennesima T Bone targata Usa, sognavo cotolette alla milanese, faraone alla narnese, tagliate di manzo toscane. E dopo il centesimo cous cous, agognavo spaghetti al pomodoro, lasagne al forno, pasta alla Norma.
Non parliamo, poi, degli spuntini: pur amando hot dog e falafel, non vedevo l’ora di spezzare la fame con pizze, focacce, arancini, piadine.
Tutto questo conferma che se l’occhio e la cultura vogliono la loro parte, ancora di più la brama il palato. Desideroso di essere soddisfatto con le innumerevoli ricette che solo l’Italia offre.
Sull’argomento qualcuno a volte cita la Francia. Ma considerarla un Paese ultra gourmet a me sembra un po’ superficiale.
E’ vero: Oltralpe si trovano cozze al mare, boeuf in montagna, omelette in città. Ma va anche detto che le materie prime diverse sono sempre e comunque preparate allo stesso modo: intrise di burro e annegate nelle salsine. Ottime, ma da nausea dopo il terzo giorno.
Del bluff credo si sia accorto anche Johann Wolfgang Goethe. Il quale, nonostante un’infanzia influenzata dal luogotenente francese Francois de Théas von Thoranc, alla fine per il suo Grand Tour (raccontato poi in Viaggio in Italia) ha preferito lo Stivale. Dove immagino abbia vagabondato dal Brennero (speck) alla Sicilia (involtini di pesce spada), passando per Venezia (baccalà mantecato), Firenze (pappa al pomodoro), Bologna (tortellini in brodo), Roma (spaghetti alla carbonara), Napoli (salsiccia e friarielli).
Mica scemo herr Goethe!
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