di Paola Rinaldi con la consulenza di Luca Malorni
La famosa vie en rose non è sempre facile, visto che una donna su otto sviluppa un cancro al seno nel corso della vita. È uno dei tumori più frequenti nel sesso femminile, con oltre 55.000 nuovi casi all’anno solo in Italia e un’incidenza in continuo aumento. Ottobre è il mese dedicato alla sensibilizzazione su questa patologia e nel 2022 ricorre un anniversario importante: 30 anni della Breast Cancer Campaign, la campagna internazionale simboleggiata dal nastro rosa e ideata da Evelyn H. Lauder, l’imprenditrice che ha creato la Estée Lauder, il gigante mondiale dei cosmetici.
Progressi su vari fronti
In Italia, grazie alla ricerca scientifica, dal 1992 a oggi la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è cresciuta dal 78 all’88%; manca ancora un 12% dovuto alle forme più aggressive, come il carcinoma mammario metastatico, che riguarda circa 37.000 donne. «Purtroppo, non tutti i tumori vengono diagnosticati quando sono localizzati solamente a livello mammario e ai linfonodi ascellari, cioè quando è possibile intervenire chirurgicamente, talvolta con l’aggiunta di un trattamento chemio o radioterapico» spiega il dottor Luca Malorni, oncologo, ricercatore Airc e direttore del Laboratorio di Ricerca Traslazionale presso l’Ospedale Santo Stefano di Prato. «Per la malattia metastatica, dove le cellule tumorali migrano in altri distretti corporei compromettendo le funzioni dei tessuti “invasi”, a oggi non esistono terapie curative, per cui l’obiettivo è prolungare il più possibile la vita delle pazienti minimizzando i sintomi. C’è un barlume di speranza, però: alcuni dei trattamenti utilizzati in queste forme così aggressive stanno dimostrando efficacia anche a distanza di molti anni dalla diagnosi, per cui potremmo essere sulla buona strada per riuscire a curare anche il carcinoma metastatico».
Non sono tutti uguali
In realtà non esiste un solo tumore al seno, perché esistono forme diverse della patologia, diversamente curabili. «Ci sono tumori ormono-sensibili, le cui cellule esprimono dei recettori a cui si legano gli estrogeni e il progesterone presenti nella donna, che sostanzialmente li “nutrono”; altri tumori invece crescono in maniera indipendente dagli ormoni; altri, infine, esprimono una particolare proteina, HER2» descrive il dottor Malorni. «Per ciascuna di queste tre categorie sono arrivate grandi novità negli ultimi anni, che hanno permesso di raggiungere risultati importanti sia nella malattia in fase iniziale sia in quella avanzata. Per i tumori ormono-sensibili, che rappresentano il 70% delle diagnosi, la rivoluzione è data da una categoria di farmaci (gli inibitori delle chinasi ciclina-dipendenti, denominati CDK4/6) ormai entrati nella pratica clinica, che hanno dimostrato di rafforzare l’efficacia delle terapie ormonali. Anche nella malattia metastatica, molto difficile da controllare, i livelli di risposta sono alti e il tasso di sopravvivenza supera i cinque anni, un traguardo prima impensabile». Un’altra novità sta negli anticorpi-coniugati: si tratta di chemioterapici molto potenti che finora non sono stati utilizzati perché largamente tossici anche per le cellule sane. «Il progresso sta nell’averli combinati con speciali anticorpi che dirigono le molecole di farmaco verso il tumore, veicolandole solo dove serve e preservando gli altri tessuti» descrive l’esperto.
Terapie più mirate in arrivo
Per i più difficili da curare (i cosiddetti tripli negativi), infine: «Nell’ultimo anno e mezzo, sono aumentati gli studi clinici sull’utilizzo dell’immunoterapia, sperimentata con successo in altri tipi di neoplasie, che hanno rilevato un miglioramento sia in termini di controllo della malattia sia nella sopravvivenza» riferisce il dottor Malorni. In tutto questo fermento si inserisce poi un altro obiettivo, cioè quello di individuare nuovi biomarcatori (molecole rilevabili nel sangue) che possano suggerire le terapie più efficaci per ogni paziente. «I biomarcatori consentono di ottenere informazioni prognostiche e predittive».In sintesi, permettono di capire quali pazienti risponderanno bene a un determinato trattamento. «In questo modo, migliorano sia la comprensione della malattia metastatica sia le possibilità di sopravvivenza a lungo termine» assicura l’oncologo.
E noi? mai saltare i controlli
Mentre la scienza fa passi da gigante, noi donne possiamo fare molto in termini di prevenzione: «È fondamentale aderire ai programmi nazionali di screening, che prevedono la possibilità di eseguire gratuitamente la mammografia ogni due anni per tutte le donne di età compresa tra 50 e 69 anni, con qualche diversità regionale. Fondamentale poi seguire uno stile di vita corretto, mantenendo un peso nella norma, svolgendo regolare attività fisica, evitando il consumo di alcolici e alimentandosi con pochi grassi e molti vegetali» raccomanda il dottor Malorni. «Basti pensare che movimento e alimentazione sono così importanti da rendere più efficaci anche le cure, perché creano nel corpo un circolo virtuoso che fa bene. Un ultimo consiglio va alle donne malate: spesso, di fronte alla diagnosi, si cade nella disperazione. È una reazione psicologica normale, a patto che non paralizzi di fronte alle opportunità che la medicina offre. Spesso chi scopre di avere un carcinoma metastatico non vuole curarsi, ritenendola un’inutile agonia. Invece guadagnare tempo serve, perché nel frattempo potrebbe arrivare una cura nuova. Non bisogna negarsi il futuro, perché l’orizzonte non è mai così lontano».●
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articolo pubblicato su Confidenze n. 40 2022
Ultimi commenti