Dopo le vacanze, nell’insidioso settembre, quando i nodi vengono al pettine, mi viene la nostalgia. Non dei posti che ho lasciato, di quelli dove non sono andata mai. La prima è l’isola di Ibiza. Negli anni 60 se ne sentiva parlare dagli hippies, che pensavano d’avere scoperto il cielo, che il centro della spiritualità non fosse a Kathmandu ma nelle Baleari, e che guardare il mare dall’alto di Sa Talaiassa (500 metri scarsi) valeva un Himalaya. Introducevano nomi esotici come Dalt Vila, frità de polp, orellettes, parlavano della necropoli, di pesci mai veduti, di Santa Eularia del Riu, la città del fiume- l’unico di quelle isole- delle tracce puniche, romane, arabe, degli isolani eleganti e coraggiosi che non l’avevano data vinta nemmeno all’Impero Romano. Con lo stupore dei compagni di Ulisse davanti alle sirene, cercavano di spiegare ai non iniziati l’acustica arcana con cui le rocce di Ibiza rifrangevano il suono dei canti e della chitarra.
Giurai di andarci al più presto. Allora portavo i miei primi jeans. Oggi porto le stampelle, e non ci ho mai messo piede. Sono andata in paesi lontani, Africa, Cina, America e mai a Ibiza, così vicina. Mi piaceva pensarla irraggiungibile, ma il sogno si sciupava col tempo. L’isola ispirata e misteriosa degli hippies ogni anno diventava sempre più di moda, il turismo sempre più selvaggio e aggressivo. I rotocalchi ogni estate si riempivano di immagini di feste da girone infernale e passava la voglia, ma che ci vado a fare in quella discoteca in mezzo al mare? Ci andavano Higuain, Leonardo Di Caprio, Paris Hilton, seguiti da orde di fans…non ho niente contro i vip, non amo e odio per categorie, ma dove arrivano i ricchi i prezzi salgono, chiasso, motori, inquinamento, yacht invadenti, orrende musiche notturne, dove sono loro non si dorme più. I vip sono come i topi, uno è carino, tutti insieme fanno impressione.
Poi ho scoperto che esiste ancora un’altra Ibiza, leggendo su Dagospia un articolo di Gianluca Marziani (la cui prosa ho eletto a guida onirico-etica-estetica, che detto così fa paura, insomma uno di cui mi fido), che potrebbe intitolarsi con la famosa frase del Piccolo principe, L’essenziale è invisibile agli occhi.
Oggi sbarcano in aeroporto star e starlette, influencer brufolosi, billionaire planetari, tipi da fashon system, coatti di ogni risma, emulatori seriali, escort in tacco H24, pompati depilati, una macedonia di chirurgia plastica e tatuaggi, extention e unghie armate, trolley Vuitton e molto molto Chanel, Gucci, Balenciaga, un gigantesco teatro dell’assurdo in cui vero e falso si amalgamano…
E dopo tale premessa, ti svela come eludere tutto questo, attraverso un percorso di fuga che riporti all’isola originaria, giocare a nascondino coi Briatori e i loro imitatori, e fare lo slalom evitando il funebre divertimento di massa. Ti insegna come vivere in un calendario parallelo, fatto di spot nascosti, chiringuito da passaparola, ristoranti di vecchia data. E ancora i viottoli segreti, le spiagge inviolate, gli anfratti, le baie color zafferano, le botteghe color cannella, i piccoli bar innocenti e pieni di storia. Luoghi dove non devi spendere sempre e comunque, cifre da pazzi per una cena dimenticabile in pochi minuti (…) qui gravita buona parte del timballo umano dove ricchi e normali hanno pochi metri di separazione, almeno fino a quando il miliardario sale sul suo yacht da 90 metri. Mentre il mondo si plasma sui divismi vacui da social network, la nuova Ibiza enfatizza la nevrosi epidemica di un apparire senza sostanza.
Un’illuminazione sull’arte di diventare turisti dispersi nell’ambiente, secondo un’ecologia fisica e metafisica, l’arte di diventare degustatori invece che divoratori, godendo di quella parte di Ibiza contaminata solo da se stessi. L’articolo va ben oltre l’isola, è un manuale su come vivere la modernità aggirandola, senza farsi contagiare dal divertimento fracassone e convulso. Una metafora dei giri virtuosi da inventare per evitare l’imbarbarimento seriale. C’è un’altra Ibizia dappertutto, c’è un altro mondo, per chi vuole. Una guida per attraversare con grazia la modernità, evitando la strada maestra. Di-vertire vuol dire de-viare. Cambiare strada. Viene una gran voglia di cogliere l’invito di Marziani, di non arrendersi al suicidio dello spirito, trovando un cammino occulto.
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