Una telefonata allunga la vita

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Il Covid ci sta mandando in tilt. Per combattere la solitudine, io apprezzo anche una telefonata. Perché mi fa sentire ancora parte del mondo

Quando leggo testimonianze come quella di Federica C., che dichiara Ho perso il controllo: in casa vivo nel caos (su Confidenze in edicola adesso), mi viene il terrore. Perché mette sul piatto un fatto drammatico. Cioè, che tutti noi possiamo essere soggetti a qualche evento che ci stravolge la mente e ci fa sbarellare. Anche se prima siamo sempre state persone normalissime.

Non vi racconto cosa è successo a Federica (così potete scoprirlo sul giornale), ma faccio delle considerazioni sulle vicende come la sua, che generano confusione, tristezza, frustrazione, rabbia e, inevitabilmente, solitudine.

Infatti, in seguito a una crisi personale, la nostra lettrice ha abbandonato un bel lavoro, si è lasciata sfuggire il fidanzato, ha visto gli amici allontanarsi. E adesso non ha più niente, se non la baraonda del suo appartamento e il vuoto davanti a sé.

Purtroppo, il caso di Federica non è isolato. Soprattutto oggi, visto che stiamo vivendo un momento storico davvero assurdo e difficile.

Sì, perché è inutile girarci intorno: la pandemia rischia di fare impazzire anche le persone più equilibrate. Le quali, tenute in piedi (sebbene frastornate) durante il primo lockdown dall’idea di un’estate accompagnata da un’agognata libertà, con l’arrivo dell’autunno si sono ritrovate di nuovo rinchiuse tra le mura domestiche. Con un’aggravante: sarà così fino a data da definirsi, il che elimina ogni spiraglio di speranza.

Quindi, se a marzo l’isolamento e la paura hanno in qualche modo uniti, adesso il coprifuoco e il terrore annichiliscono, rendono nervosi e in preda a una tensione a mille che sfocia in litigi per un nonnulla. In uno scoramento mai immaginato. In una sensazione di impotenza che imprigiona come un ergastolo.

Il brutto, poi, è che il nemico è pure invisibile. Perciò più subdolo che mai, perché non lascia tregua, sfinisce e crea, appunto, quella solitudine che l’essere umano, per natura, rifugge dai tempi dei tempi.

Come resistere? Per quel che mi riguarda, la benzina della mia vita da Covid è un misto di senso del dovere e di desiderio di non arrendermi, che alla mattina mi aiuta ad alzarmi dal letto nonostante mi aspettino solo telefonate (di lavoro) sempre più sottotono, con gente che non sprizza gioia da nessun poro.

E quando il buio che arriva presto e l’inizio de L’eredità in televisione mi annunciano che ho svangato le ultime ventiquattr’ore, per un nano secondo mi sento quasi felice.

Dopodiché, per trattenere la beata sensazione, ricordo altre situazioni del passato in cui ero certa di soccombere. Ripercorro le tappe che mi hanno portata alla salvezza. Mi dico che se hanno funzionato allora, forse si riveleranno ancora una volta infallibili. E piena di fiducia nel futuro, dopo cena precipito in un sonno così profondo che ha più della narcolessia.

Nella mia routine quotidiana, però, hanno fondamentale importanza anche le solite abitudini, che sto esasperando all’ennesima potenza. Infatti, mi occupo della casa con la foga di una massaia modello. E, soprattutto, mantengo un sacco di rapporti (solo telefonici e virtuali) con l’esterno, socievole come una scoppiettante Marta Marzotto.

Così, con i miei alti e bassi provo a tenere duro. Pensando che se sopravviverò, il mio secondo lockdown non sarà stato troppo triste e solitario. Mentre se il destino mi serberà altro, i miei cari sapranno che avrò trascorso gli ultimi giorni in una bella casa ordinata, in compagnia (anche se a distanza) e con la mente lucida. Nonostante questo post dichiari che forse sto perdendo il ben dell’intelletto.

 

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