Gran parte di Confidenze in edicola adesso è dedicata alle vacanze. E non è un caso. Intanto, perché sono alle porte. E poi, perché mai come quest’anno sono tanto agognate, nonostante le mille incognite che le precedono.
La prima che attanaglia molti (cioè, tutti coloro che non hanno ancora completato il protocollo vaccinale) riguarda il se e quando riusciranno a partire. L’appuntamento con la seconda iniezione, infatti, viene comunicato solo nel momento in cui ci si presenta per la prima. Quindi, chi ha fatto Astrazeneca ha già tutto chiaro in agenda. Mentre i più “giovani” (tra virgolette, visto che si tratta di ultracinquantenni) non sanno come organizzarsi nei prossimi mesi, con quella spada di Damocle che dondola sulla loro testa.
Morale, continuano a rimandare prenotazioni e richieste di ferie (lo smartworking non esime dal canonico tabulato delle vacanze che in passato veniva stilato verso marzo). Oppure, vivono nel panico totale, se si sono temerariamente portati avanti.
Io, per esempio, l’ho fatto (portarmi avanti). E adesso mi rendo conto della clamorosa cazzata. D’altronde quando in pieno inverno, relegati in casa e bombardati dai numeri dei contagi in aumento esponenziale, anelavamo a un briciolo di libertà e di spensieratezza, con un gruppetto di amici ci siamo immaginati in mezzo al mare, spazzati dal vento anziché dalle brutte notizie.
Così, abbiamo subito confezionato il nostro bel pacchetto crociera, con tanto di biglietti aerei per raggiungere l’imbarco.
Peccato che, poi, sia saltata fuori la farsa del vaccino con richiamo a data impazzita. Passata dai 21 ai 42 giorni e probabilmente ancora suscettibile di cambiamenti, spiega il motivo per cui in questo periodo sono sempre molto indaffarata: non ancora vaccinata, trascorro il mio tempo davanti a un calendario (ormai so i nomi di tutti i santi) per cercare di individuare quale potrebbe essere l’ora della mia seconda dose.
La prima ipotesi, la più sfigata e triste, è che venga fissata proprio negli unici 10 giorni dell’anno in cui ho deciso di allontanarmi da casa. E se dovesse succedere, penso che mentre l’ago mi pungerà il braccio, dai miei occhi sgorgheranno fiumi di lacrime.
La seconda alternativa è riuscire a rientrare nella tabella di marcia, arrivando al check-in ancora in preda agli effetti collaterali dell’iniezione: dolori, nausea a mille e zero forze. Ma talmente felice di essere lì, da sopportare l’arto anchilosato (tanto dovrò sollevare un leggero bagaglio a mano). Pronta a tenere in mano il sacchetto per conati improvvisi, di solito posizionato nel sedile di fronte. E, addirittura, contenta della spossatezza, perché abbandonarmi a un sonno profondo durante il volo mi salverebbe dal terrore dell’aereo.
C’è, infine, un’ultima possibilità, che fino a due secondi fa non avevo neanche preso in considerazione. Ma che ho valutato adesso, perché ho appena ricevuto un Whatsapp da un’amica che recita laconico: «Fatto Johnson’s. Senza richiamo».
La notizia mi è parsa talmente bomba che ho scaraventato il calendario dall’altra parte della stanza e sono corsa a selezionare i pochi capi per il mio striminzito bagaglio.
Ce la farò davvero a metterli in valigia e partire? Come nei thriller più avvincenti, la suspense non può dipanarsi all’improvviso. Quindi, devo abituarmi all’idea di ondeggiare tra speranza e disillusione ancora per un po’. Cioè, fino alle h 17 del 6 giugno, data della mia prima dose. Che, detta così, sembra l’annuncio di una futura tossica.
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