Quando il gioco si fa duro, ci vuole fiducia recita il titolo di un articolo che trovate su Confidenze in edicola questa settimana. E visto che il gioco adesso si è fatto davvero molto duro, io partecipo continuando a restare il più possibile a casa, in attesa degli eventi.
Se fossi a un tavolo di burraco con in mano carte orribili, tutte diverse tra loro e senza neanche una pinella, adotterei la stessa strategia: aspettare di vedere come si comporta l’avversario (nel nostro caso, il maledetto virus) cercando di non perdere la testa né la speranza in un colpo di scena che ribalti la situazione.
La partita che stiamo disputando in questi mesi, però, è un po’ più complicata di quelle sul tappeto verde. E l’esito ha una portata ben diversa dalla scivolata verso il basso nella classifica di un torneo amatoriale.
Quindi, eccomi più che mai decisa a non mollare fino all’ultimo. Determinata ad allontanare i momenti di sconforto. E tenace nel pensare che tutto andrà bene.
Un po’, lo faccio per carattere. E poi, perché credo che lottare per non lasciarsi travolgere dallo sconforto sia lo sforzo migliore per tentare di rendere stimolanti le giornate più angoscianti.
Così, in questo periodo, invece di disperarmi mi ritrovo a chiedermi chissà cosa ci aspetterà nei prossimi mesi. E a soffrire più per l’attesa della risposta che per il preoccupante ventaglio di risposte possibili.
Tra i suggerimenti per mantenere in alto i cuori, l’articolo invita a non pensare al passato. Io, invece, continuo a farlo. E convinta che il futuro sarà difficile e complicato, mi dico che forse apprezzeremo quello che abbiamo sempre dato per scontato. Ma attenzione: non intendo tirare in ballo i soliti luoghi comuni del tipo “saremo più buoni, onesti, dediti agli altri”.
Penso che gli stronzi rimarranno stronzi. I disonesti, disonesti. E chi se n’è sempre sbattuto del prossimo non cambierà atteggiamento. Però, magari chi era fortunato come me e ogni weekend se ne andava da qualche parte, forse la smetterà di lamentarsi per la coda in autostrada.
Tutto questo, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, mi aspetto di ritrovarmi letteralmente in braghe di tela, senza sapere come tirare a campare.
Ammetto che l’idea a volte mi sveglia nel pieno della notte e mi avvolge nel panico totale. Ma poi, per fortuna, mi viene in mente un altro luogo comune che nasconde una grande verità. Cioè, che finché c’è vita c’è speranza.
A questo punto, però, è da vedere che vita sarà. E qui mi dispiace di avere un’età che non è né carne né pesce. Perché non sono abbastanza vecchia per tirare i remi in barca e indossare i panni dell’osservatore di un periodo storico davvero pazzesco. Ma neanche abbastanza giovane per gettarmi in nuove avventure con l’allegro spirito del genere “o la va o la spacca”.
Sono, invece, in quella via di mezzo che mi obbliga a mettere in conto cambiamenti radicali e difficoltà che facilmente mi catapulteranno in un forte senso di smarrimento.
Ovvio che la prospettiva non è affatto allettante. Eppure, più del dover arrancare mi spaventa l’ignoto. Ovvero, non sapere dove e come dovrò farlo. Ma appena arriveremo al dunque, cercherò di affrontare ogni salita come un’opportunità.
Quindi, sappiate che mi sto preparando. Perché quando questo gioco duro svelerà definitivamente le sue carte, gonfia di fiducia ce la metterò tutta per vincere la partita. Anche senza pinelle.
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