Solo pochi giorni fa, sulla prestigiosa rivista scientifica The American Journal of Clinical Nutrition, sono stati pubblicati i risultati di una delle più vaste ricerche mai condotte sulla relazione tra consumo di carne e rischio cardiovascolare.
Si tratta di un lavoro scientifico che ha elaborato i dati dello studio Pure (Prospective urban rural epidemiology study), provenienti da ben 21 Paesi di cinque diversi continenti, sia a basso, che a medio che ad alto reddito, con consuetudini e tradizioni alimentari anche assai differenti tra loro.
Quest’ultimo è un elemento di grande novità, perché le ricerche precedenti avevano riguardato specialmente popolazioni degli Stati Uniti e dell’Europa e le odierne raccomandazioni delle istituzioni sanitarie che invitano a moderare gli introiti di carne si basano proprio sugli esiti di queste ricerche. Tali raccomandazioni, inoltre, sono state emanate soprattutto con logica prudenziale, perché le prove dell’esistenza di un legame tra consumo di carne e malattie cardiovascolari non sono mai state convincenti.
Ora, con questa nuova, grande analisi internazionale, lo scenario è destinato a chiarirsi. I ricercatori hanno vagliato le abitudini alimentari di quasi 135.000 persone di ogni parte del mondo in un arco temporale di dieci anni, verificando se la loro dieta fosse collegata a morte o eventi cardiovascolari (infarto, ictus ecc.).
Ebbene, la disamina di questa massiccia mole di dati non ha evidenziato alcun collegamento tra consumo di carne rossa o carne bianca e aumento del rischio di malattie cardiovascolari o di morte: nessuna differenza in merito è emersa tra chi mangia e chi evita la carne.
Viceversa, lo studio ha confermato quanto già sapevamo da ricerche precedenti, ovvero un aumento del rischio nei maggiori consumatori delle cosiddette carni processate (salsicce, würstel, bacon ecc.). L’ennesima dimostrazione che non è tanto la carne a essere nociva, ma semmai lo possono essere certe sue modalità di trasformazione, che prevedono l’aggiunta di sostanze quali nitriti, nitrati, grandi quantità di sale e grassi saturi ecc. Forti di questa consapevolezza, potremo adottare processi produttivi e modalità di lavorazione delle carni trasformate sempre più salubri, che in effetti è ciò che già sta avvenendo, innanzitutto in Italia. Peraltro, volete mettere la differenza tra un hot dog venduto in qualche discount degli Stati Uniti a pochi centesimi, pieno di additivi della più varia specie, e un prosciutto crudo di San Daniele, che non contiene altro che carne suina e sale marino? Evidentemente non tutte le carni lavorate sono uguali.
In definitiva, le conclusioni di questo studio mi fanno molto piacere, perché sono in linea con quanto affermo ormai da tempo e smentiscono semplicistiche demonizzazioni alimentari, spesso veicolate fin con troppa enfasi persino dai media.
Il mio suggerimento? Mangiate serenamente carne rossa (una porzione 1-2 v/settimana) e bianca (2-3 v/settimana), all’interno di una dieta realmente varia: contribuiranno a renderla ancora più ricca e completa. Se li gradite, potete consumare anche i migliori salumi e insaccati, con un po’ più di moderazione: la dose di 50 grammi un paio di volte alla settimana si ritiene improbabile che possa apportare qualsivoglia danno alla salute.
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