Celiachia, sensibilità al glutine, allergia al grano: che confusione!

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Le reazioni a glutine e grano sono estremamente diffuse. Vediamo quali sono le principali, per evitare di incorrere in errori dietetici che potrebbero avere risvolti anche gravi

Le intolleranze alimentari e le reazioni avverse al cibo sono in crescita esponenziale: una recente ricerca italiana segnala che fino al 35% della popolazione occidentale dichiara sintomi di varia natura – digestivi, ma non solo – dopo il consumo di determinati alimenti. Tra le sostanze più sospettate ci sono glutine e grano (che, in quanto a contenuto di glutine, è uno dei “pesi massimi”).

Le reazioni a glutine e grano (o frumento che dir si voglia) sono di diverso tipo. Vale allora la pena fare chiarezza, perlomeno sulle tre più importanti: l’allergia al grano, la celiachia e la sensibilità al glutine/grano non celiaca. Queste tre condizioni sono spesso confuse tra loro, ma, pur presentando sintomi a volte sovrapponibili, sono entità patologiche distinte, che richiedono approcci diagnostici e terapeutici specifici.

L’allergia al grano è una vera e propria allergia alimentare, caratterizzata dalla produzione di anticorpi IgE contro le proteine del grano, in individui geneticamente predisposti. È più comune nei bambini e scatena sintomi anche gravi come l’anafilassi, quindi manifestazioni che possono essere pericolose per la vita. Può dare anche reazioni non mediate da IgE, che causano altri disturbi, quali la meno drammatica esofagite eosinofila. Per l’allergia al grano c’è un solo trattamento possibile: l’evitamento totale del grano, persino in piccole quantità, e vita natural durante.

La più nota celiachia è invece una malattia autoimmune: si tratta di una patologia che colpisce l’intestino tenue, innescata dall’ingestione di glutine. Il glutine è un complesso di proteine che si ritrova nel frumento in tutte le varianti (farro, kamut e qualsiasi altra sua varietà antica), nella segale e nell’orzo. La malattia può manifestarsi a qualsiasi età, dalla prima infanzia all’anzianità. Anche nel caso della celiachia esiste una predisposizione genetica. Per diagnosticarla, non si cercano gli anticorpi IgE, tipici delle allergie, ma un’altra classe di anticorpi, le IgA, soprattutto gli anticorpi anti-transglutaminasi. Se le IgA sono positive, si procede, per conferma, alla biopsia dell’intestino tenue, allo scopo di accertare lo stato di danneggiamento della mucosa dovuto alla reazione immunitaria al glutine. Invece, il tanto utilizzato test genetico serve solo a evidenziare la predisposizione alla celiachia, ma non la presenza della malattia (che magari non si svilupperà mai). L’unica terapia per la celiachia è una dieta completamente priva di glutine.

Se allergia al grano e celiachia riguardano solo una piccola parte della popolazione (circa l’1%), ben più diffusa sembra la terza condizione in questione: la sensibilità al glutine/grano non celiaca, che, sulla base di stime recenti, potrebbe coinvolgere fino al 13 persone su 100. Non è ancora ben chiara la sua origine, ma sappiamo che non è una patologia allergica (come l’allergia al grano) né autoimmune (quale la celiachia). Può tuttavia provocare disturbi anche simili a quelli della celiachia, sia di tipo intestinale (gonfiore e dolori addominali, diarrea, stitichezza o alternanza delle due ecc.) che extraintestinale (affaticamento, depressione, anemia, dolori articolari e molti altri). La causa qui, però, non è necessariamente il glutine: altre componenti del grano (i fruttani, gli inibitori dell’amilasi-tripsina, l’agglutinina del germe) sembrano avere un ruolo patogenetico persino più importante del glutine, tanto che l’iniziale termine di “sensibilità al glutine non celiaca” è stato trasformato, appunto, in “sensibilità al glutine/grano non celiaca” e, secondo alcuni autori, dovrebbe essere definitivamente modificato in “sensibilità al grano”. Anche in questo caso, la terapia è di tipo nutrizionale, ma pare ormai assodato che la dieta possa essere più morbida rispetto a quella della celiachia, perlomeno per buona parte di coloro che ne soffrono. Il consiglio, come sempre, è quello di affidarsi a un bravo nutrizionista, anche per evitare il rischio – ben documentato dalla letteratura scientifica – di incorrere con il “fai da te” in carenze di nutrienti vitali.

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