Molto di quello che sembra irrinunciabile non solo non serve, ma sottrae spazio, ci allontana da noi stessi e da ciò a cui attingere per ricavare la sicurezza che ricerchiamo fuori di noi.
Quanto di ciò che possediamo è davvero necessario? E’ una domanda che conserva la sua attualità anche oggi, quando gli acquisti seguono più spesso la logica delle priorità che non la seduzione del nuovo o del superfluo. Di soldi infatti ne circolano meno di anni fa e quelli che ci sono devono bastare a coprire tante esigenze.
Eppure l’abitudine all’accumulo è difficile da scalfire. C’è sempre qualcosa che sembra indispensabile. Se il prezzo è basso, in tempi di crisi l’attrattiva può perfino aumentare. Con un investimento di pochi euro ci assicuriamo l’affare: il set di coltelli in ceramica che promette di tagliare meglio di tutti gli altri o quel beauty a tre scomparti che riesce a contenere tutti i cosmetici con minimo ingombro in borsetta. Poco importa se, dopo l’acquisto, ci accorgiamo che il cassetto della cucina è già pieno di coltelli affilati o che l’imperdibile portatrucchi assomiglia tanto a quello ottenuto in regalo con la carta fedeltà della profumeria di fiducia.
Nel nostro piccolo universo privato intervengono anche gli oggetti che non compriamo, ma che si raccolgono negli anni, depositandosi in casa, dal soggiorno alla cantina, o addirittura guadagnando anche il bagagliaio dell’auto o l’armadietto dell’ufficio. Alcune cose hanno un valore affettivo che le rende intoccabili: diventano la traccia visibile di una persona cara che magari ci ha lasciato. Molte altre però (la maggioranza, a essere sinceri) restano lì inerti e inutili, a occupare spazio.
C’è chi si identifica con quello che possiede e sposta sull’orologio di lusso o sull’ultimo modello dello smartphone la misura del proprio valore. Ma anche senza pensare a questi estremi a volte siamo portati a circondarci di cose nell’illusione che la loro solidità possa compensare quel che di fragile c’è nell’essere umano e di imprevedibile nella vita.
Gli oggetti sono tangibili, riconoscibili e, almeno entro certi limiti, controllabili. Possono funzionare o guastarsi, aggiungere charme al nostro aspetto o farcelo perdere, rimanere apparentemente intatti o subire l’usura del tempo, ma mantengono quasi sempre quel potere rassicurante che deriva dalla loro concretezza. E’ questo percepire le cose come base di appoggio, forse, che ci spinge a farne incetta. In un mondo dove tutto è rischio e noi ci sentiamo precari, gli oggetti promettono qualche certezza. Anche nella loro intercambiabilità.
Se ci fermiamo a riflettere, però, le cose che servono davvero si riducono drasticamente. Ben più folta è la schiera degli oggetti ininfluenti, che consideriamo fondamentali per abitudine o per un errore di prospettiva. E che poco o nulla valgono, in definitiva, a farci sentire saldi e sicuri. Distraggono piuttosto, ingolfano e, alla fine, confondono.
Obbligarsi a selezionare, imparare a scegliere ciò che per ciascuno di noi è necessario e davvero importante ci avvicina ai nostri desideri più antichi e alla parte più autentica di noi stessi. Nella sua bellezza, nella sua unicità e nella sua capacità di affrontare ogni giorno le sfide del quotidiano, banali o eroiche che siano.
Quanto di quello che possiedo conta davvero per me? Rispondere a questa domanda diventa un esercizio semplice e potente, che permette di risalire alla fonte originaria di quel senso di forza, fiducia, sicurezza interiore e solidità che troppe volte cerchiamo fuori di noi. Nelle cose appunto.
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