Ha un titolo che non lascia spazio a dubbi: “Il potenziale depressivo degli zuccheri aggiunti” (The depressogenic potential of added dietary sugars è l’ originale in lingua inglese). Si tratta di uno studio pubblicato pochi anni fa, nel 2019, sulla rivista scientifica Medical Hypotheses, che ha collegato consumo di zucchero e depressione.
Gli autori di quest’ampia ricerca – che è una review, ovvero una revisione di tutta la letteratura scientifica esistente sull’argomento – sono andati ad analizzare le evidenze disponibili sugli effetti fisiologici e psicologici dello zucchero, concludendo che i dolci agiscono come una droga.
Inizialmente, infatti, lo zucchero e tutto ciò che lo contiene hanno un immediato effetto euforizzante, di miglioramento dell’umore.
Tuttavia, in modo appunto simile alle droghe, il consumo abituale e consistente di zucchero ha conseguenze a lungo termine fortemente negative sul tono dell’umore.
Analogamente agli stupefacenti, lo zucchero crea un fenomeno noto come craving, il desiderio incontrollabile di assumerlo: più si consumano dolci e più si tende a consumarne, con l’innesco di un vero circolo vizioso.
Lo zucchero, quindi, non ha solo le tante ricadute deleterie già ben note, in quanto fattore capace di aumentare il rischio di obesità, diabete, malattie cardiovascolari, carie e una pletora di altre condizioni fisiche. Il consumo di zucchero è associato anche alla malattia mentale, con meccanismi in parte comuni a quelli che sviliscono la salute fisica: incremento del livello di infiammazione nel corpo, stress ossidativo, insulinoresistenza, alterazione del microbiota intestinale (disbiosi), generazione di prodotti finali della glicazione avanzata (i cosiddetti AGE).
Il problema è che nella dieta dell’uomo moderno lo zucchero è onnipresente, in tutte le sue varietà e sinonimi, che sembrano fatti apposta per mascherarne la presenza nelle etichette dei prodotti alimentari: zucchero di barbabietola, zucchero di canna, saccarosio, fruttosio, glucosio, destrosio, maltosio, sciroppo di glucosio-fruttosio, sciroppo di mais, sciroppo di riso, succo d’uva concentrato e altro ancora. Quando non lo ritroviamo, palese o nascosto, nei dolci e nelle bibite industriali, lo aggiungiamo deliberatamente noi ogni giorno a caffè, tè, tisane e ulteriori preparazioni.
Forse dovremmo ricordarci di queste evidenze scientifiche ogni volta che dolcifichiamo il cappuccio (e magari ci inzuppiamo pure un cornetto), soprattutto se siamo particolarmente vulnerabili alla depressione.
Accanto a psicofarmaci e psicoterapia, l’adozione di specifici comportamenti alimentari e di stile di vita può realmente aiutarci a conservare e a ritrovare il sorriso, sulla base di prove del tutto scientifiche, che nessuno può più continuare a ignorare o, peggio ancora, negare.
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