Dobbiamo trovare un punto di incontro tra l’evitare atteggiamenti giudicanti verso chi ha un problema di peso e la necessità di non minimizzare un vero, spesso grave, problema di salute
Nelle questioni umane, uno dei punti più delicati, e cruciali, è probabilmente la ricerca dell’equilibrio. Ecco, mi pare che recentemente manchi appunto un po’ di equilibrio nell’affrontare un tema che, da nutrizionista, mi sta particolarmente a cuore: quello del sovrappeso e dell’obesità.
In questi ultimi anni, ha preso piede la body positivity, movimento sociale che propugna l’accettazione del corpo indipendentemente dalla taglia, dal colore della pelle e da ogni altra caratteristica esteriore. Il fenomeno è così consistente che ha coinvolto persino il mondo della comunicazione, della pubblicità e della moda: modelle curvy sfilano oggi sulle passerelle o compaiono negli spot televisivi senza destare più troppo stupore.
È un’iniziativa lodevole, perché è tesa a combattere il cosiddetto body shaming, la pratica di criticare o deridere una persona per il suo aspetto fisico, nel caso in questione per i chili di troppo. Il body shaming può avere effetti devastanti sulla salute mentale e fisica delle persone, contribuendo a una maggiore stigmatizzazione sociale, a sentimenti di vergogna e bassa autostima, a condizioni quali ansia e depressione. È encomiabile, oltre che necessario, lottare per creare contesti che favoriscano l’accettazione e il rispetto di tutte le persone, indipendentemente dal loro peso e aspetto.
Non si possono, tuttavia, non intravedere anche le potenziali derive di questa azione. Obesità e sovrappeso rappresentano una delle sfide sanitarie più critiche del XXI secolo, con implicazioni significative per la salute pubblica e i costi sanitari globali. Negli ultimi decenni, l’obesità è aumentata in modo drammatico: secondo una recente ricerca pubblicata sulla rivista scientifica The Lancet, gli obesi nel mondo sono ormai oltre 1 miliardo, molti dei quali sono bambini e adolescenti. E i numeri sono in continua crescita.
Quella contro l’obesità è una battaglia che non possiamo permetterci di perdere. L’eccesso di grasso corporeo aumenta le probabilità di incorrere in numerose, spesso gravi, patologie croniche: diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, ipertensione, alcuni tipi di cancro, problemi posturali e complicanze muscolo-scheletriche, apnee ostruttive del sonno, steatosi epatica e altre ancora. Per il paziente questo si traduce in una qualità di vita ridotta, maggiori difficoltà quotidiane e un aumento del rischio di mortalità prematura. La persona in sovrappeso, e ancor più quella decisamente obesa, è una persona che non resta a lungo in salute.
Sovrappeso e obesità vanno innanzitutto prevenuti, con interventi precoci (addirittura fin dall’infanzia), e, quando ciò non è possibile o sufficiente, affrontati con i tanti strumenti a nostra disposizione: piani dietetici, esercizio fisico, modifiche comportamentali, supporto psicologico, trattamenti farmacologici, fino ad arrivare, in casi selezionati, a interventi di chirurgia bariatrica, per la riduzione del peso.
I media e anche i professionisti della salute hanno certamente la responsabilità di trattare l’obesità in un modo accurato, empatico e rispettoso, che non giudichi e, men che meno colpevolizzi, le persone per il loro peso e che non alimenti ulteriormente lo stigma e la discriminazione.
Dobbiamo però evitare di cadere nell’estremo opposto, ingenerando la convinzione che obesità e sovrappeso siano condizioni normali. Sono, al contrario, malattie estremamente serie, cariche di comorbidità gravi, che devono essere contrastate con ogni sforzo, in modo attivo, fermo e tempestivo, e con il ricorso, ove necessario, a ciascuno dei diversi aiuti disponibili.
Body shaming no, trascuratezza nemmeno, dunque. Trovare un equilibrio tra esigenza di sconfiggere la discriminazione e necessità di combattere l’obesità e i rischi medici associati è una sfida complessa. Con un’accresciuta consapevolezza e una buona comunicazione possiamo fare tanti progressi in entrambe le direzioni.
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