Protagonista al cinema con Eyes Everywhere e in tivù con la serie in sei puntate Sconfort Zone (su Prime Video dal 20 marzo), accanto a Maccio Capatonda, Francesca Inaudi si racconta. Come attrice, ma anche come mamma di un bimbo di cinque anni, che le ha rivoluzionato la vita.
Con Marcello Macchia, ovvero Maccio Capatonda (che firma la regia di Sconfort Zone insieme ad Alessio Dogana) vi conoscevate già?
«No, era la prima volta che lo vedevo “dal vivo”. Posso dire che è stato una bella scoperta. Infatti, lavorando con lui ho vissuto la gioia della leggerezza».
Perché ti ha scelta come protagonista della serie?
«Sono presuntuosa, quindi rispondo che mi ha scelta perché sono brava» ride. «Nella fiction interpreto la sua fidanzata».
Di recente ti avevamo vista in Kostas, un poliziesco. Ci sarà la seconda stagione?
«Spero di sì, ma non lo sapremo prima di giugno. Girare in Grecia è stata una bellissima avventura. Inoltre, adoro Stefano Fresi, che interpreta il commissario Kostas. Siamo amici da 10 anni».
Quando va in onda una “prima puntata” ti riguardi?
«Sì. E se sul set il cast era coeso, mi piace farlo con i colleghi. Nel caso di Kostas, abbiamo rivisto le puntate tutti insieme, a casa di Fresi. Quando lavoro, invece, non controllo il girato, preferisco vedere il prodotto finito. E con l’età sono diventata un po’ meno severa con me stessa».
Ti capita che un personaggio ti resti “appiccicato” addosso?
«Sì. Di solito ci vuole una settimana per uscirne: i gesti, il linguaggio per un po’ li porto con me. Dopo Kostas, per esempio, ho continuato a mettere le mani sui fianchi come Adriana, la moglie del commissario, quando avevo qualcosa da ridire».
Se fai questo lavoro, lo devi a un’insegnante delle medie che ha riconosciuto il tuo talento. Siete ancora in contatto?
«Ci eravamo un po’ perse, ma nel 2013 ero in teatro e mi hanno portato una sua lettera in camerino. Lei e il mio ex professore di matematica (a scuola avevamo capito tutti che stavano insieme) erano venuti a vedermi. Ho pianto così tanto che mi è completamente colato il trucco».
Avere una bellezza non banale, non standardizzata, è stato un vantaggio?
«Io ho sempre pensato di sì, alla faccia di quelli che mi dicevano che ero troppo brutta per certi ruoli. O degli addetti ai lavori che ritenevano la mia bellezza non convenzionale, poco spendibile. Ho preso dalle mie nonne e sono un mix tra mamma e papà, che erano figli del ’68 e mi hanno regalato la libertà».
Se ti dico amore, cosa ti viene in mente?
«Me stessa. È una delle lezioni più difficili da imparare, ma la più necessaria. Se non hai amore per te stessa non puoi amare il prossimo. Se non ne siamo già consapevoli, ce lo insegna la maternità».
Tu pratichi una riservatezza assoluta sulla tua vita privata. Perché?
«Se è privata, non è pubblica. Metto io i confini su quello che voglio condividere».
Una cosa la sappiamo, però: il 29 febbraio del 2020 sei diventata mamma. Come mai tuo figlio è nato in California?
«Ero a Los Angeles da qualche tempo e sia io sia il papà (è italiano) abbiamo deciso che sarebbe stato un bel regalo per il bambino avere il doppio passaporto. Subito dopo è arrivato il Covid, perciò siamo rimasti bloccati negli Stati Uniti per un anno e mezzo. Infatti, mio figlio capisce l’inglese. Ho sempre saputo che sarebbe arrivato e sarei felice di averne un altro. A volte ci si impegna in cose non necessarie e si pensa troppo tardi alla maternità. Io sono rimasta incinta a 42 anni. D’altronde, servirebbero più aiuti alle donne e congedi di paternità più lunghi. Io mi occupo molto di mio figlio, a volte facendo salti mortali e con grandi sacrifici. L’ho allattato fino a quasi tre anni, una delle esperienze più belle della mia vita».
Che è cambiata molto?
«Me l’hanno stravolta più gli adulti del bambino. Lui ha solo aggiunto tanto di meglio, pur con tutte le sfide e le difficoltà. Non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto. A volte non ce la fai, è normale. Io ho affrontato un parto molto difficile, mia madre era lontana, in Italia, e ho capito che in alcuni momenti potresti anche lanciare tuo figlio contro il muro per la carenza di sonno e la stanchezza, che ti annebbiano. Per le neo-mamme serve una rete di sostegno. È un progetto a cui sto lavorando, bisognerebbe istituzionalizzare la figura della “doula”: una donna, preparata a venire in soccorso nei momenti di crisi. Anche solo sentirsi dire “Ci sono passata anch’io” è utile, fa bene. La maternità mi ha scosso nel profondo e vorrei fare qualcosa per chi non ha la fortuna di potersi permettere una tata o una baby sitter».
Ti ha tolto qualcosa?
«Le cose futili a cui davo importanza. E che ora non esistono più». ●
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Intervista di M.G. Sozzi pubblicata su Confidenze n 12/2025
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