Lo ricordo così, con gli occhi carichi d’amore e di fiducia, Salvatore, l’uomo che mi ha preso per mano, sfidando i pregiudizi del nostro paese e di quel periodo. Eravamo un contadino e un’analfabeta, ma senza mai perdere la speranza abbiamo realizzato tutti i nostri sogni
storia vera di Montagna F. raccolta da Irene Zavaglia
Mia madre mi raccontava sempre di come si era accorta che sarei venuta al mondo. Correva l’anno 1936, era il mese di ottobre e lei tornava dai campi insieme alle compagne di lavoro. Le andature lente, le figure erette, le teste dritte sotto il carico dei cesti ricolmi di patate e borragine; i tempi non erano buoni, ma la fame non la pativano, dopo la fine della guerra la terra era tornata a fruttare. In paese gli uomini dicevano che i fascisti sarebbero stati la salvezza, che avrebbero tolto le terre ai padroni per darle ai poveri, che anche il meridione sarebbe stato Italia. Mia mamma aveva fiducia, mio padre, invece, la redarguiva. «Concetta, sono favole, ai poveri promettono il mondo ma poi li mandano a morire in guerra» le diceva mostrandole il braccio, quel suo braccio offeso che non poteva più muovere, trofeo, insieme a una medaglia al valore, per avere difeso la madre Patria.
Quella sera, di ritorno dal lavoro, presa da quello e da altri pensieri, mia mamma si era fermata lungo la strada a pregare davanti al piccolo altare eretto in onore della Madonna della Montagna. In quel periodo i più fortunati partivano a piedi per il pellegrinaggio al santuario di Polsi, fin nel cuore dell’Aspromonte, in una piccola frazione del comune di San Luca. Lei, però, non poteva andarci, aveva quattro figli di cui occuparsi, le era venuto il sospetto di aspettarne un altro e doveva tenere d’occhio suo marito che tanto la faceva preoccupare con quei discorsi strani sulla politica. Aveva pregato, mia mamma, e aveva implorato la Madonna che li proteggesse tutti e che le mandasse un segnale anche piccolo che potesse tranquillizzarla sul futuro incerto. Era stato in quel momento, in quel preciso istante di mormorio e di richiesta, che io avevo sferrato il primo calcio della mia vita.
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