L’abito non fa il monaco, “sotto il vestito niente” sono tanti i detti che cercano di sfatare l’illusione dell’apparenza, la frivolezza del cambiarsi d’abito per sentirsi più belle, più alla moda, più ammirate. Più tutto… insomma.
Ma alzi la mano chi almeno una volta non ha desiderato indossare uno di quegli abiti da sogno che, dopo avervi incantato e irretito, puntualmente fanno scattare subito la domanda: «Ma quando mai lo metterò»?
E se anche dopo aver dato un’occhiata al budget rimanete incollate con il naso alla vetrina, allora una chance a quell’abito bisogna proprio dargliela ed entrare e provarselo.
Errore gravissimo, direbbe la nostra coscienza, perché provare è l’anticamera del comprare, e c’è sempre una suadente commessa alla vostre spalle che, come una sirena incantatrice, mormora: «è incantevole, le sta benissimo».
E a quel punto è fatta: vi convincerà che «Non è poi così impegnativo e che, guardi, anche a un cocktail o a una cena può andare benissimo» ma a voi di trovare l’occasione per metterlo in fondo interessa poco, quel che conta è vedervi specchiate in quell’attimo che vi consente di sognare, di farvi sentire diverse dalla quotidianità e che rappresenta un’iniezione di autostima.
Pensate poi se l’abito in questione è un vestito da sposa, come succede alla protagonista della storia vera raccolta da Chiara Lavalle L’abito da sposa, che trovate su Confidenze.
Mirella, la protagonista, non ha un imminente matrimonio in vista e a dire il vero neppure un fidanzato, però resta incantata da un abito da sposa in vetrina e dopo tanti tentennamenti e dietrofront decide di entrare così solo per provarlo. E una volta avvolta in quella nuvola d’organza leggera si vede rinascere, lo specchio le rimanda l’immagine di un’altra donna, fasciata in un abito a sirena che ne esalta le forme che neppure sapeva di avere. Insomma si sente come una crisalide che lascia il suo bozzolo e si trasforma in farfalla.
Mi è piaciuta la storia di Mirella perché, in piccolo, ognuna di noi dovrebbe seguire il suo esempio e concedersi qualche leggerezza in più, ogni tanto un po’ di frivolezza rende meno pesante la vita e non occorre spendere una fortuna in vestiti, basta anche solo andare al mercatino.
Io, per esempio, sono reduce da una vacanza in Grecia, dove una sera, girando tra i ristorantini dell’isola, sono incappata in un negoziettto immerso in un’atmosfera fuori dal tempo, gestito da una signora greca fautrice dello yoga, che disegnava gli abiti in vendita.
Entrando era un tripudio di sete colorate, disegni damascati e fantasie un po’ orientaleggianti, abiti lunghi dalle mille sfumature cangianti dall’oro al bronzo al bordeaux, dal verde acquamarina al turchese e al blu notte. Una policromia che incantava lo sguardo e addolciva l’anima. Un ponte tra due culture, quella classica greca e quella orientale bizantina. Come non perdersi tra quei drappeggi di sete fruscianti? Io e le mie amiche giravamo ammutolite tra tante meraviglie nascoste.
La vacanza era agli sgoccioli e in un barlume di ragione ho pensato che mai a a Milano avrei potuto indossare uno di quegli abiti, così smaccatamente estivi e scollati, ma poi l’occhio è caduto su una fantasia turchese e beige dai toni raffinati quanto intensi, l’amica di turno mi ha invitata a provarlo e, quando sull’abbronzatura dorata ho visto stagliarsi i colori del mare non ho resistito e l’ho comprato.
Non importa se resterà nell’armadio fino all’anno prossimo, e se le occasioni per portarlo si conteranno sulla punta delle dita di una mano, a me quell’abito trasmette un misto di eleganza e selvaggia libertà, incarna lo spirito della Grecia e della vacanza. Lo aspetterò fedele, e nei lunghi mesi invernali ogni tanto mi rifarò gli occhi guardandolo, pensando all’azzurro mar della Grecia.
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