Se vi dico che amo lo sci quasi quanto il cibo, date per certo che le vacanze in montagna per me sono l’apoteosi della felicità. E fin qui avete ragione. Quello che, invece, non immaginate minimamente è che polente conce, fondute e cotolette alla valdostana non fanno parte del mio programma culinario.
Intanto, perché detesto la fontina. E poi, perché dove vado io abbiamo una consuetudine: nel periodo natalizio non si prenotano ristoranti, ma ci si invita a vicenda, dalla prima all’ultima sera. Il che significa che ogni cena ha il tocco personale dell’ospite di turno. Così, da anni ormai so che mi aspettano la serata del capriolo di Paola e Massimo e quella dell’insalata russa di Nicky e Guido (che cucina lui, Guido in persona, insieme a ogni genere di altra squisitezza). Le lenticchie e il cotechino di Giuli e Renato e le torte salate di Monica e Marcello. Ma lo stesso vale per tutti loro: prima di tornare in città, hanno la certezza di beccarsi la pasta sorpresa (tra il sugo di pomodoro o quello di pomodoro e qualcos’altro gettato dentro quasi a caso) e l’insalata sostenuta (con mele, formaggio e frutta secca a palla) di Alberta. Sì, perché questo è il menu fisso delle mie cene, che si svolgono in una casa minuscola, con gli amici ammonticchiati uno sopra all’altro come trichechi, i piatti di carta perché quelli veri ingombrano troppo (i bicchieri, però, sono di vetro e ci tengo a precisarlo perché è una novità delle ultimissime stagioni) e i dolci tirati in casa all’ultimo dal balcone, facendo alzare ogni singolo ospite a effetto domino, altrimenti non si apre la finestra.
Si dice che gli inviti a cena si accettano per la compagnia più che per il cibo e i miei adorati amici dimostrano di esserne al corrente. Ma se voi ci tenete a proporre qualche ottima ricetta come il paté di faraona in gelatina o il tacchino farcito alle mele e alle noci, non perdete il nuovo numero di Confidenze, in edicola in questi giorni.
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