Gina
di Barbara CerroneIl marito di Gina non lavorava, perché di lavorare non aveva voglia, così sfruttava lei. Del resto l’aveva sposata per farsi mantenere. Le faceva schifo per questo ma che ci poteva fare? Allora non c’era il divorzio e poi lei era cristiana, perciò se lo teneva così, con tutto lo schifo. Gina invece lavorava, faceva la cameriera da qualche parte in città. Tornava a casa tardi, stanca morta, e a casa trovava il marito, fresco come una rosa. Era proprio un porco. Lui spendeva come respirava e faceva debiti, tutti a nome di Gina. Era piena di debiti. Qualche volta, di notte, Gina si alzava e andava alla finestra perché le sembrava che le mancasse il respiro, invece il respiro tornava e lei era ancora viva. Viva si fa per dire. Perché certe cose ti ammazzano, e anche se cammini è come se non ci fossi. Sei un morto, ma nessuno lo sa. Quanti morti ci saranno in giro? Se lo chiedeva per darsi una consolazione. Il marito si lamentava dei soldi, diceva che erano pochi e che avrebbe dovuto guadagnar di più. A lei piacevano le scarpe décolleté col tacco sottile, ma che non fosse troppo alto; quelle che aveva erano stanche come lei. Era stata anche bella, prima. Invece si era messa con quel porco, e ora faceva la miseria. Era stata bionda, e con un fisico slanciato. Aveva avuto scarpe décolleté e abiti graziosi. Gli occhi prima non erano cerchiati e il viso era liscio. Tre anni di vecchiaia. Un giorno lui le disse qualcosa, brontolò che era stufo perché lì non c’erano soldi, raccolse qualcuno dei suoi stracci e se ne andò. Del resto, non aveva più nulla da prenderle, neanche l’anima.
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