Uno spazio per te


Tutti i sorrisi si fermarono

di Mariangela Tardito

Tutti i sorrisi si fermarono … Oh sir, she smiled, no doubt.…Ah signore, lei sorrideva, senza dubbio,Whene'er I passed her; but who passed withoutOgni volta (che) le passavo (accanto); ma chi passava senza (ricevere)Much the same smile? This grew; I gave commands;Esattamente lo stesso sorriso? Questo aumentava; diedi ordini;Then all smiles stopped together…Poi tutti i sorrisi cessarono allo stesso tempoMy Last DuchessRobert BrowningNon fatemi sorridere, vi prego.Non posso guardarvi, lo sapete e se non lo capite posso anche urlarvelo.Lui non vuole.- Solo a me devi donare questo bel sorriso, ha detto, ma una volta solamente, i primi giorni dopo il mio arrivo a Ferrara. Poi hanno sempre parlato i suoi sguardi. – Non si addice al tuo rango camminare veloce nei corridoi del palazzo, scendere troppo spesso in giardino, sostare troppo a lungo dalle aiuole. Che hai sempre da guardare? Sono solo fiori.- Non parlare così forte, non guardare in viso chi viene nella casa. Il granduca sono io, tu sei mia moglie e null'altro. – Non fare la bambina, cammina lenta e controlla i tuoi gesti, non voglio che gli altri ti osservino troppo a lungo. Ora tengo gli occhi bassi e le mani immobili in grembo, il capo un po' chino – non troppo perché la buona educazione ha le sue necessità – ma chino in segno di umiltà.Forse soltanto così riuscirò a sopravvivere, a diventare grande.Neppure Cosimo, mio padre, riuscirà a salvarmi se non smetterò di sorridere, di correre dietro ai cuccioli del cane, e scendere ogni giorno in giardino e sentirmi felice per il profumo dei fiori.Sono cosa sua, di Alfonso, il mio signor marito che mi osserva in silenzio all'alba, quando calza i pesanti stivali, ricopre le mani con i guanti di pelle ed afferra il frustino.Ogni volta che sferza un servo indolente o distratto mi guarda, e io so.I servi sono cosa sua, come i fiori che ha strappato con rabbia dopo che li ho accarezzati e mi sono chinata per inebriarmi del loro profumo. Anche quando strangolò con una sola mano il gattino da poco svezzato che carezzavo tenendolo sulle ginocchia io so, e da allora resto ferma a capo chino, lo alzo solamente per guardare lui – qualche volta, quando me lo chiede – non sorrido, tengo sempre gli occhi bassi. Però è troppo tardi, ormai, anche se tento di illudermi ne ho certezza: le stagioni della mia vita sono morte come le foglie cadute da quell'albero colpito dall'imprevisto temporale di primavera, dalla grandine che lo ha sferzato e ne ha rotto i rami ancor fragili perché troppo teneri, da poco tempo cresciuti. Nulla deve essere per me all'infuori di lui, nessuna persona nessun oggetto: solo lui.Non fatemi sorridere, non chiedetemi di guardarvi negli occhi. Io voglio vivere, ma questa che pure è la mia vita non so se sia vita. Confonde la sua saliva con la mia saliva, quando mi ama, la notte. Stringe nelle mani il mio seno e mi torce i capezzoli, così urlo perché mi fa male e al mattino tutta la mia carne è solcata dai segni delle sue unghie.Anche le gambe mi fanno male, la parte segreta del mio corpo è in dolore così che non riesco a camminare. Lui sorride, pago, e controlla le serve quando mi aiutano a vestirmi: non si soffermino troppo a guardarmi, a toccare i miei capelli per intrecciarli, a passare le loro mani sulla mia carne quando mi aiutano a lavarmi. Tutta sono cosa sua, dalle unghie dei piedi al battito delle ciglia. Non esisto per me, non esisto più per mio padre e mia madre, per le mie sorelle e i miei fratelli.- Tanto ti ama, tanto. Siigli devota, e casta, e obbediente. Sei una bambina, sa cosa fare, disse mia madre abbracciandomi e consegnandomi a lui il giorno delle nozze.Io abbassai il capo e le credetti, mentre guardavo mio padre che parlava con lui, serio, come gli uomini troppo spesso quando parlano di affari. Mia sorella Maria era morta e allora toccava a me.Ci eravamo sposati il tre luglio, ricordo il calore della cappella in Palazzo Vecchio e il sudore che dai capelli scendeva nella nuca e si perdeva lungo la schiena, sotto l'abito pesante di broccato. Avevo tredici anni e Alfonso venticinque, lui uomo fatto e io ancor bambina, così mia madre mi tenne a casa con lei per due anni ancora. Il matrimonio cominciò solo allora, quando macchiai del primo sangue le lenzuola. Come potevo immaginare? Eravamo i Medici, e lui era Alfonso d'Este. Che potevo desiderare di meglio?Lasciai Firenze con il ricco corteo nuziale preparato da mio padre per mostrare la sua potenza e la nostra magnificenza… lasciai i giardini fioriti, le stanze colpite dal pulviscolo luminoso, il cielo quasi sempre sereno. Lasciai Firenze, e mi sentivo libera sebbene mia madre, Eleonora, tenesse me e mia sorella Isabella sempre sotto scorta nelle stanze delle donne. Uscivamo soltanto accompagnate ma c’era la voglia di ridere, c’era il profumo dei tigli e dei gelsomini, c’erano i colori degli alberi. C’è tutto, ancora – attorno a me – ma non è più per me perché posso essere solo rivolta a lui.Non basta però, anche questo so. Non basta che rimanga immobile, che cerchi di confondermi tra le figure degli arazzi che ricoprono le pareti del palazzo, che chini il capo se qualcuno entra nella stanza all'improvviso. Non basta più: ogni giorno il cerchio tracciato dal mio sposo si stringe, ogni giorno l'affanno cresce. Sbaglio sempre perché esisto al margine, sono qualcuno anch'io al di fuori di lui, sono altro da lui e chiunque potrebbe guardare i miei occhi, toccare la pelle della mia mano o i miei capelli. Chiunque potrebbe vedere il mio sorriso, il luccicore dei denti, le labbra. Chiunque potrebbe anche solo immaginarmi. Chiunque potrebbe ricordare le ciliegie rosse che coglievo e assaporavo, rosse come le mie labbra, e le dita che salivano a nettarne il succo vermiglio.Ero figlia del granduca di Toscana e di Eleonora di Toledo, mi chiamarono Lucrezia. Ora sono la duchessa di Ferrara, Modena e Reggio e da adesso – tre anni dopo, tre anni soltanto ma un'eternità – starò fissa per sempre in un quadro che Alfonso nasconderà sotto il drappo pesante abbandonato sul tavolo, pronto da giorni a ricoprirlo. Solo lui mi guarderà, finalmente, perché io sarò altrove, perché io non sarò più del mondo. Ha chiamato il Bronzino, pittore anche di mio padre, per dipingere le mie sembianze; ha scelto l'abito, i gioielli, l'acconciatura, e rimandato tutti gli impegni. Ha preteso che lo sguardo fosse serio e le guance piene, così da far venire forte la voglia di toccarle; le labbra sono morbide, guardatele, sono di bambina ancora. Tutti i sorrisi si fermarono fuori dalla stanza, fuori dal suo palazzo.Il mio petto è costretto dal tessuto spesso, gli elaborati ricami graffiano la mia pelle; una pesante collana di perle mi stringe il collo e la mano sinistra si appoggia senza forze mentre la destra sale verso il cuore. Lui ha deciso la postura e tutto quel che le mie mani possono ancora sopportare. Mentre il pittore mi ritraeva – in pochi giorni: ha preteso che il ritratto in pochi giorni fosse terminato, poi lo ha cacciato lontano con una sacca colma di denaro e il giuramento di dimenticarmi – è rimasto seduto a guardare, mandando via con un gesto secco della mano chi lo chiamava. Intanto qualcuno ripuliva la tomba della famiglia d'Este, nel monastero del Corpus Domini. – Le piaceva qualunque cosa guardasse, ha detto di me; non ero abbastanza grata di portare il suo nome antico di novecento anni. I signori d’Este, oh, i signori d’Este antica famiglia non come i Medici sbucati chissà come poco fa.Ha dato i suoi ordini, non li ho sentiti ma so: il mio sorriso si fermerà. Ora mi porge una coppa di vino che odora forte di spezie… Dopo, lui solamente potrà guardarmi, godere del mio sorriso, rispondere al mio sguardo. Non fatemi sorridere, vi prego: il mio corpo è cosa sua. Non incontrate i miei occhi con lo sguardo: la mia anima sta volando via, libera, almeno lei, libera.

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